La zona di interesse
di Jonathan Glazer
con Christian Friedel,
Sandra Huller
UK, Polonia, 2023
genere: drammatico
durata: 106’
In un'epoca in cui la
crisi delle sale e la disaffezione delle generazioni più giovani ha spinto
anche chi si professa cinefilo a rispolverare i discorsi sulla morte del
cinema, dubitando sulla capacità di incidere nelle nostre esistenze rivelandone
le complessità meno evidenti, un film come "La zona d'interesse"
riporta indietro le lancette della Storia mettendo in qualche modo lo
spettatore nella stessa condizione di quei fortunati che si trovarono ad
assistere alle proiezioni dei primi cortometraggi dei Fratelli Lumière. In un
tempo di sensi anestetizzati e coscienze sopite il film di Jonathan Glazer
prende in contropiede la vista e lo stomaco, raccontando l'Olocausto come
ancora non si era mai visto sullo schermo. Lungi dall'essere un esercizio di
stile "La zona d'interesse" restituisce alla forma la sua
caratteristica principale, ovvero quella di accrescere il senso del contenuto.
Abbracciando il concetto
di indicibile relativo alla tragedia della Shoah, Glazer fa la cosa più
semplice e allo stesso tempo più difficile, celando il misfatto agli occhi
dello spettatore e in parte a quelli degli stessi personaggi, attraverso il
muro di cinta che separa il campo di concentramento di Auschwitz dallo spazio
famigliare in cui la famiglia del comandante della guarnigione vive come niente
fosse, assorbita dalla bellezza bucolica del paesaggio e viziata dai privilegi
di una posizione lavorativa di prestigio, quella del colonnello Rudolf Höss, in
cui lo sterminio non implica nessuna questione morale e dove l'unico problema è
quello di elevare al massimo l'efficienza dei carnefici e dello loro procedure
logistico-matematiche.
Per mettere in scena
l'orrore Glazer non spreca neanche un minuto dei 105 a sua disposizione. Prova
ne siano i titoli di testa, rappresentati in toto dall'intestazione del film,
destinata a scomparire un poco per volta dallo schermo, sopraffatta dai rumori
della "morte al lavoro" e assorbita dal buio di una dissolvenza in
nero che, insieme al finale altrettanto astratto, dominato com'è
dall'improvviso presagio della fine che assale Höss, inchioda l'incoscienza dei
personaggi all'abisso delle proprie anime.
La differenza fra bene e
male diventa così una questione legata alla dicotomia dello sguardo, laddove
l'invisibile smette di essere tale quando si rivolge alla vita del carnefice,
immersa in una fotografia surreale, tanto nitida e pulita quanto monocorde e
glaciale, capace com'è di far diventare la bellezza vuota e piatta della sua
illuminazione sinonimo della crudele prosaicità di cui si colora il quotidiano
della famiglia Höss predisposta per natura a non farsi toccare da quanto accade
al di là del muro.
Scegliendo di raccontare
gli aguzzini e non le loro vittime Glazer fa una scelta di campo che riguarda
l'oggi, ragionando sulla banalità del male attraverso un identikit in cui il
paradosso della famiglia tedesca, incurante dell'abominio che le sta accanto,
moltiplica all'ennesima potenza quello dell'Occidente nei confronti delle
guerre che del tutto o in parte ha contribuito ad accendere.
Come "Il figlio di
Saul" anche il film di Glazer fa del fuoricampo un elemento fondante. A
differenza di László Nemes, però, Glazer sceglie un punto di vista opposto.
Tanto quello del regista ungherese era il risultato di una ricognizione interna
al personaggio, tanto quello del regista inglese è il risultato di
un'osservazione isolata ed esterna al contesto. Se "Il figlio di
Saul" traeva forza da una narrazione febbrile e allucinatoria "La
zona d'interesse" propone allo spettatore un'osservazione raggelata ed
entomologica, capace di resistere all'impassibilità dei personaggi per cogliere
l'attimo in cui la normalità diventa affezione patologica. Debitore nei temi e
nella forma del Michael Haneke de "Il nastro bianco", "La zona
d'interesse" deve parte della sua riuscita a un dispositivo che da qui in
avanti potrebbe costituire un compendio pratico da mostrare agli studenti per
far comprendere la bellezza e la potenza del linguaggio cinematografico. Valga
per tutti il modo in cui Glazer restituisce dignità a campo e controcampo,
altrove segnale di povertà registica (lo aveva già fatto Paul Thomas Anderson
con "Licorice Pizza"), qui determinante nel restituire la vertigine
derivata dall'orrore del quotidiano, quando, dopo una serie di sequenze girate
secondo un unico punto di vista e volte a introdurci nell'ovattata quotidianità
della famiglia Höss, a spalancare le porte dell'inferno è l'uso improvviso del
campo opposto all'immagine precedente, mostrandoci la prospettiva della fornace
del campo di concentramento, visibile in tutta la sua atroce abiezione dietro
le spalle del padrone di casa. È la prima volta che succede e tanto basta a
cambiare la storia del film che da quel momento non potrà più mondarsi dal
peccato originale di quell'immagine.
Adattamento
cinematografico del romanzo omonimo del 2014 scritto da Martin Amis, "La
zona d'interesse" è stato presentato in concorso al Festival di Cannes
2023, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria. Prodotto dalla A24, il film di
Glazer è atteso nelle sale il 25 gennaio 2024, distribuito da I Wonder
Pictures. Da vedere e rivedere per non dimenticare.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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