martedì, giugno 25, 2024

ANOTHER END

Another End

di Piero Messina

con Gael García Bernal, Renate Reinsve, Bérénice Bejo

Italia, 2024

genere: drammatico

durata: 128’

Sarà perché nel cinema esiste l’autoreverse per cui il tempo come successione lineare è solo una delle opzioni date al regista per collegare la successione delle immagini e ancora perché mettendo in scena un presente già passato, la Settima arte è deputata per elezione a raccontare storie di fantasmi (anche quando nella finzione non lo sono), fatto sta che “Another End” di Piero Messina ha le carte in regola per essere considerato un film che il cinema se lo porta dentro per sua stessa natura. Raccontando infatti di un futuro distopico in cui esiste la possibilità di riportare temporaneamente in vita i defunti innestandone i ricordi nel corpo dei “locatori”, Messina non solo fa del backforward (trasfigurato nell’azione di far rivivere i cari estinti e dunque di recuperare il tempo perduto) la premessa teorica della sua narrazione, ma assegna alla reminiscenza e alle relative emozioni il compito di essere simulacro della realtà, attribuendo alla memoria, e quindi a qualcosa che esiste non sul piano fisico ma mentale, la possibilità di percepire uno spettro come qualcosa di vivo e di reale.

Un preludio filosofico di cui però “Another End” non si accontenta, se è vero che in maniera mimetica, ma non per questo meno evidente, il film fa il verso al modo in cui il cinema si mette in scena. Basterebbe prendere come esempio la sequenza in cui Zoe torna in vita nel corpo di Ava, in cui la simulazione operata per creare il ponte tra la vita e la morte, facendo si che il risveglio dei defunti appaia come una continuazione naturale della loro vita e non la conseguenza delle possibilità scientifiche, è organizzata alla stregua di un vero e proprio backstage cinematografico, con la mdp che a un certo punto si apre sull’interno di un hangar, rivelando l’esistenza di una sorta di set cinematografico in cui i tecnici con i loro argani si impegnano a trasmettere alla scocca di una finta ambulanza l’andamento sussultorio di una corsa a sirene spiegate per le vie della città. Oppure considerare che i locatori nel fare del proprio corpo il mezzo per dare vita all’esistenza di terze persone altro non fanno che rimandare al mestiere dell’attore come interprete di vite altrui, ma anche allo sguardo del pubblico che, nel guardare sullo schermo Gabriel Garcia Bernal e Renate Reinsve, crede - almeno durante la visione - che siano Sal e Zoe, così come Sal riconosce nella locatrice colei che è stata la sua compagna.

Se a livello tematico la poetica di “Another End” porta a compimento un altro percorso di amore e morte, di lutto e di elaborazione (già esplorato ne “L’attesa”), declinando la struttura del melò secondo i canoni più classici del genere, dal punto di vista visivo il film immerge lo spettatore in un mondo altro, in cui il futuro (prossimo) ipotizzato dallo scenario avveniristico diventa uno spazio liminale, concreto e allo stesso tempo immaginato, per il fatto di contenere nel medesimo contesto termini opposti come possono esserlo inferno e paradiso, inizio e fine, detto e non detto e soprattutto l’esistenza e il suo contrario, e dove il corpo è insieme limite  e superamento delle cose, chiamato com’è a far da elemento unificatore delle varie dicotomie, regalando coerenza narrativa all’immaginario registico.

In questo senso “Another End” diventa un cinema di corpi scandagliati nello scarto tra contenitore e contenuto, tra carne e anima, su cui il film si basa per immaginare di far tornare in vita i defunti inserendone i ricordi nel corpo ospite. Un concetto evidente fin dalla prima sequenza, in cui l’immobilità del corpo della donna, ripreso di spalle e schiacciato alla parete dalla resa prospettica, lo fanno sembrare svuotato di ogni vitalità e ridotto a semplice involucro. Un pensiero presente anche nella decisione di evidenziare la maggiore grandezza del corpo di Ava rispetto a quello di Sal, avvalorando la persistenza della forma in un contesto umano più votato al “sentire” che al “vedere” (“voglio riuscire a vederla” dice Sal, incapace di riconoscere la propria amata nella donna che le ha prestato il corpo).

Come pure nella dialettica tra spazi esterni e interni, con la città presente fintanto che la solitudine non viene sostituita dalla pienezza dell’amore, destinata a far scomparire lo spazio presente nei campi lunghi della città a favore di un cinema che si fa tutt’uno con i corpi nella volontà di restituirli dall’interno, corrispondendo - nella seconda parte - all’avvenuta presa di coscienza di Sal, capace di riconoscere il “contenuto” nella “forma”. Con la sequenza in cui Sal e Ava entrano nella sala dentro la stanza dei ricordi a far da spartiacque del film, spostando la storia su un livello di percezione che sembra in scena l’inconscio dei personaggi e con esso i loro sentimenti.

“Another End” diventa così la cartina di tornasole di un talento, quello di Piero Messina, in grado di accompagnare la bellezza dell’immagine con una visione del cinema a trecentosessanta gradi, quella che gli permette (non avendo a disposizione i capitoli di una saga per farlo) di compensare l’alto numero di informazioni necessarie a creare il supposto narrativo del film e del suo mondo, e dunque il rischio di avere a che fare con un film molto parlato, lasciando alle suggestioni più che alla messinscena il compito di raccontarli allo spettatore. A completare l’eccellenza del quadro concorre la direzione degli attori, ancora una volta orientata a un cast internazionale e a un parterre di interpreti a cui Messina offre la possibilità di una performance capace di rivaleggiare con le migliori delle rispettive carriere. Come succede nel caso di Renate Reinsve, brava nel dare anima e corpo (da modella) a un personaggio che sembra omaggiare la Kim Novak de “La donna che visse due volte” e che soprattutto nella scena del night club ha echi della Nastassia Kinski de “Un sogno lungo un giorno”. Presentato in anteprima e in concorso all’ultima edizione del Festival di Berlino, “Another End” è uno dei film più belli visti in questa prima parte di stagione.


Carlo Cerofolini

(recensione pubblicata su ondacinema.it)

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