mercoledì, settembre 18, 2024

EL JOCKEY

El Jockey

di Luis Ortega

con Nahuel Pérez Biscayart, Úrsula Corberó, Daniel Giménez Cacho

Argentina, Messico, Spagna, Danimarca, USA, 2024

genere: commedia, gangster

durata: 96’

Le maschere, storpiate, brutte, tragicomiche, mostrate una dietro l’altra nella prima sequenza di “El Jockey” di Luis Ortega sembrano quasi volerci mettere in guardia e prepararci a una visione diversa dalle altre dove forse non tutto è da prendere sul serio, dove quelle stesse maschere verranno tolte e dove tutto quello che si vede non è come sembra.

Perché Luis Ortega prova a stupire fin da subito, ad andare contro corrente, mostrandoci un film a metà tra il tragico e il comico, tra il reale e il fantastico, costantemente in bilico tra la vita e la morte (antipodi sui quali si fonda l’intera storia).

            La scuola migliore è la disgrazia.

E di disgrazie al povero Remo Manfredini, fantino leggendario, ne succedono davvero tante, quasi da perdere il conto.

Remo Manfredini è un fantino leggendario, ma il suo comportamento autodistruttivo sta cominciando a metterne in ombra il talento e a mettere a repentaglio la relazione con Abril, la fidanzata.

Il giorno della gara più importante della sua carriera, che lo libererà dai debiti col suo boss mafioso Sirena, ha un grave incidente, scompare dall’ospedale e vaga per le strade di Buenos Aires. Libero dalla propria identità, inizia a scoprire il suo vero io. Ma Sirena è determinato a stanarlo. Vivo o morto. (Fonte: Biennale)

Al di là della storia, più o meno semplice, più o meno contorta, a impressionare del regista argentino è sicuramente lo stile, fuori dal comune e mai ripetitivo, nonostante il susseguirsi di eventi che potrebbero portare a una ripetizione quasi estenuante.

E' chiaro fin da subito l’intento di Luis Ortega, seguire il protagonista che, all’occorrenza, può trasformarsi in chiunque, assumendo diverse sembianze e che quindi, non solo arriva a catalizzare qualsiasi tipo di attenzione su di sé, ma permette anche una più semplice identificazione proprio perché abbraccia una fetta di pubblico più vasta.

Luis Ortega sceglie di non limitarsi a un solo ambiente, ma anzi decide di mostrare quelli che sono i bassifondi di un’Argentina (che potrebbe essere qualsiasi altro luogo) facendo leva sulla decadenza e sulla mancanza di qualsiasi cosa da parte di tutti gli abitanti, dai giovanissimi ai più anziani.

Se per conoscere meglio Remo e la sua fidanzata (la Ursula Corbero de “La casa di carta”) non approfondiamo troppo il loro rapporto, mostrato solo in un breve momento tragicomico nel quale i due condividono alcuni pensieri intimi sulla genitorialità e non solo, ma ci basta vedere alcune dinamiche che li mostrano intenti a dialogare con altri personaggi, diventa, però, fondamentale quella scena di ballo, già iconica un attimo dopo averla vista, che li contrappone visivamente, fisicamente e mentalmente. Quella che sembra essere una parentesi ridondante, se non quasi inutile, diventa il mezzo attraverso il quale comprendere determinate scelte di entrambi i personaggi (non a caso vestiti in maniera opposta e contrapposta, come a dover considerare solo alcuni aspetti per l’uno e altri per l’altra).

            Devi morire e rinascere.

Con questa frase è possibile riassumere l’intera opera di Ortega che, facendo leva su un’ottima interpretazione di Nahuel Pérez Biscayart, gioca continuamente con il personaggio, la storia e lo spettatore, prendendolo costantemente in giro, illudendolo di stare vedendo qualcosa per poi cambiare immediatamente prospettiva e punto di vista facendolo dubitare anche della realtà stessa.

Tra citazioni più o meno evidenti (quella a “Il Padrino” è da antologia), “El Jockey” fa sua questa caratteristica centrale, ma si perde al suo interno, inserendo il pubblico in un vortice dal quale è difficile uscire, anche alla fine della visione, anche quando sembra tutto finito e “spiegato”.


Veronica Ranocchi

Nessun commento: