Finalmente un film liberatorio ed anticonformista che se ne frega del politicamente corretto e picchia duro sull'ipocrosia della societa' borghese. Piu vicino al cinema da camera ed alla compostezza formale di Susan Blier che alla presunta improvvisazione di Von Trier il film fa parte di quel cinema scandinavo che riesce ad intrattenere e nello stesso tempo a raccontare la societa' in cui vive, senza avere paura di affrontarne i tabu'.
Nel caso specifico a venire demolito e' il sistema di pensiero e le azioni che riguardano il recupero psicologico delle cosiddette "persone diversamente abili": terapia di gruppo, assistenza medica domiciliare, pensiero positivo vengono tirati in ballo quando la moglie del protagonista, nel disperato bisogno di recuperare il matrimonio messo a rischio da un incidente stradale che lo ha reso tetraplegico, si affida ai moderni mezzi del sistema sanitario, ottenendone in cambio un unita' di supporto modello Ghostbuster, capitanata da una venditrice di fumo intenta a confermare le teorie contenute del libro che vuole pubblicare e formata da un accolita di derelitti, che dovrebbero essere la prova della giustezza del metodo ed invece ne sono la sconfitta piu' evidente. Dall'incontro/scontro tra il mondo del dolore reale e quello immaginato, ognuno dei protagonisti trovera' la sua dimensione e forse una vita piu' felice. Caratterizzato da momenti di comicita' involontaria che non e' mai gratuita ma
scaturisce dall'assurdita' delle situazioni, il film e' allo stesso tempo duro e delicato ed ha il pregio di non dare nulla per scontato. Corredato da spunti cinefili che diventano il simbolo di una condizione (il protagonista, giacca verde e capelli spinaciosi, sembra un reduce del Vietnam e fa la roulette russa come Christopher Walken ne "Il Cacciatore" ) e con un crescendo emotivo che sfocia in una catarsi finale inaspettata e liberatoria, il film e' un autentica rivelazione e si candida di diritto tra i possibili vincitori del Torino Film Festival 2007.
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