mercoledì, ottobre 19, 2011

Melancholia

La sindrome da pessimismo cosmico si allarga a dismisura, ed in attesa dell’ultimo Ferrara arriva sulla terra il monolite filosofico targato Lars Von Trier ed è subito discussione. D’altronde il regista danese non è uno dalle mezze misure e nel bene o nel male finisce sempre per ritagliarsi spazi importanti. Anche quando non convince. Come accade per questo “Melancholia”, titolo che allude al nome del pianeta in rotta di collisione con la terra, ed al sentimento di tristezza che fa da sfondo al tormentato rapporto tra due sorelle, impegnate a tenere unita la famiglia. Collocando la vicenda in un segmento esistenziale circoscritto nel tempo e nello spazio – due giornate, ciascuna delle quali ritagliate sulla personalità di una delle due donne, ed ambientate in una villa di astratta bellezza- von Trier realizza un affresco che è insieme la descrizione di un disfacimento psicologico e materiale – la crisi depressiva (?) di Justine (Kirsten Dunst) comprometterà il matrimonio appena celebrato – ed anche la rappresentazione di un mondo in via d’estinzione. Ed alla lunga è proprio quest’ultimo aspetto a risultare veramente interessante, per le suggestioni generate dal contrasto tra un microcosmo, gli invitati del matrimonio, impegnato a ripetere le proprie convenzioni sociali, e la la contingenza di un evento, l’avvicinamento del pianeta, che potrebbe mettergli fine. La socialità di facciata, abituata a confrontarsi sui problemi del mondo ma messa a nudo in tutta la sua spietatezza si carica così di una drammaticità che è pari solo all'anaffettività delle sue azioni: von Trier la riassume con istantanee rapidissime, come quella di Charlotte Rampling, la madre della sposa, scontrosa e distante con la figlia, ma seria e coinvolta negli esercizi ginnici, oppure nel fulmineo licenziamento di un collaboratore da parte di un importante imprenditore che ne aveva appena lodato le qualità. Un saliscendi emozionale capace di inglobare ogni cosa in una ronda di lucida inconsistenza; allegoria di una civiltà, la nostra, in piena decadenza. A convincere di meno è invece è il nucleo della storia, soprattutto nella parte dedicata a Justine, in cui von Trier traduce il malessere della ragazza in un alternarza di riso e pianto, e con una serie di azioni scriteriate - ad un certo punto dei festeggiamenti del matrimonio la ritroviamo addirittura a fare sesso con un tipo poco prima disprezzato – neanche per un momento supportate dalla logica della storia, che invece procede in maniera estemporanea, senza alcuna chiarimento, o con approfondimenti accennati e tardivi.

Mantenendo in parte lo stile che aveva caratterizzato l’esperienza dogmatica (uso del digitale ed mobilità documentaristica della macchina da presa), ed integrandolo con una composizione visiva, pittorica e musicale (la musica di Wagner ad accentuare gli aspetti melò e le citazioni di Bruegel e Millet) von Trier si mantiene a galla agitando gli spettri di una personalità sicuramente complessa e contraddittoria. Ma al di là di qualche scena ad effetto (l'ouverture iniziale simile a quella di "Antichrist" in termini di effettistica e straniamento) e di una chiusura, quella sì degna di nota, con il film ed il suo significato affidato al volto di una Charlotte Gainsbourg (Claire), ancora una volta vittima sacrificale del regista danese, e dilaniata da un pianto che ci riporta ad un umanità finalmente genuina, priva di qualsiasi intellettualismo, "Melancholia" sembra ribadire una crisi ispirativa ed autoriale, condivisa con altri illustri colleghi.
Per il ruolo di Justine, Kirsten Dunst è stata premiata come migliore attrice all'ultimo festival di Cannes.
(pubblicata su Roma giorno e notte)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

dopo Carnage, Sorrentino..aspetto di sapere qualcosa su questo von Trier..già in vena di santità ma per me ancora sulla scia di questa debacle autoriale di fine anno...

nickoftime

Luciano ha detto...

Il film mi incuriosisce molto. Vedendo il trailer mi sono fatto un'idea positiva e la tua recensione aumenta in me le aspettative.

Anonimo ha detto...

Ciao Luciano, ben tornato...in effetti penso che von Trier sia uno di quei registi da non mancare..però questi ultimi due lavori mi hanno lasciato perplesso..mi sembra che il suo cinema sia diventato un pò intellettuale..che si prenda troppo sul serio, con tutte quelle citazioni cinematografiche, pittoriche.etc..e che dall'altra parte anche i personaggi siano diventati una specie di simulacro al servizio di un cinema rapsodico e svagato...certo le atmosfere e la confezione non mancano ma...

nickoftime

Luciano ha detto...

Vidi Antichrist dopo molto tempo dall'uscita nelle sale e in un periodo in cui non ero in forma (problemi alla vista) e quindi non mi sentii (e non mi sento neppure adesso) in grado di valutare il film. Avrei dovuto vedere Melancholia domenica scorsa ma non sono andato al cinema per un imprevisto. Mi è venuta l'idea di vedere pertanto gli ultimi due film di Lars Von Trier a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, tenendo presente anche le tue interessanti osservazioni.

Anonimo ha detto...

..Luciano avrò veramente piacere di sapere cosa ne pensi..per mè non è mai facile esprimere un opinione rispetto ad un film..tanti sono i fattori, i limiti ed i condizionamenti che si pongono tra me e l'oggetto della visione...cerco di correggere queste incapacità con un approccio il più onesto possibile...non so se basta ma è l'unica rimedio che riesco a mettere in atto...detto questo ti aspetto per una "verifica incerta".

nickoftime