OLTRE IL MARE
regia di Cesare Fragnelli
Nel panorama cinematografico italiano la condizione giovanile ha trovato due canali preferenziali: sintetizzando si potrebbe dire che il primo, prendendo in considerazione gli aspetti più leggeri e divertenti di quell'età, risponde al modello di commedia romantica sul tipo di "Santa Maradona", divertissement di amore e disoccupazione, appena macchiato dalle inquietudini del tempo presente; il secondo invece, soffermandosi sulla difficoltà di crescere e sul disagio provocato dalle prime delusioni della vita, ha trovato nel dramma esistenziale esemplarmente riassunto in un film seminale come "Che ne sarà di noi", la sua valvola di sfogo. Non necessariamente separate, le tue tendenze sempre più spesso provano a convivere nello stesso spazio filmico, in un'osmosi a cui non è indifferente la volontà di aumentare il bacino delle utenze.
Così succede a Cesare Fragnelli ed alla sua opera seconda, un resoconto filmato sull'amore tradito e poi riconquistato da parte di un gruppo di ragazzi pugliesi durante una vacanza estiva. Partendo da un registro che privilegia il cinema verità, con luci naturali e telecamera a mano, ad enfatizzare la spontaneità dei gesti e l'energia dell'ambiente, il film si sviluppa affidando all'eterogeneità dei caratteri il compito di mantenere l'assunto iniziale.
Una varietà che non lascia fuori niente, e che comprende la spavalderia e la sicurezza di Sergio, pronto a non lasciarsi scappare alcuna occasione, il tormento e l'inquietudine di Francesco, amante non corrisposto da una fidanzata che non vuole più vederlo, la falsità di Guglielmo, facile a promesse che non può mantenere, la simpatia di Giordano, coscienza del gruppo ed occhio privato sulle disfunzioni della società.
Così, nella convinzione che il tradimento sia il passaggio obbligatorio per qualsiasi riconciliazione, la sceneggiatura costruisce una partitura di dolore e di catarsi, finalizzata ad una serie di scene madri che, invece di posizionarsi a conclusione di un percorso emozionale e psicologico, si succedono sistematicamente durante tutto il corso del film, costringendo lo spettatore ad adattarsi a cambi di umore troppo meccanici per essere credibili.
Un saliscendi capace di presentare sullo stesso piano drammaturgico, ed a breve distanza di tempo, lo sgomento per una morte improvvisa e la gioia per la vittoria in un concorso culinario, oppure di risolvere la volontà suicida di uno dei protagonisti con poche battute, appena il tempo di sventarne il tentativo, per poi riconsegnarlo agli amici, come se nulla fosse successo.
A tutto questo si aggiunga il mancato approfondimento di un background sociale capace di spiegare le azioni dei personaggi -la famiglia condensata nei genitori di Francesco è così naif da non sembrare vera- e troppo scontato nell'assegnare le colpe allo sballo da discoteca.
Non tutto è da buttare, a cominciare dalla proposizione di una serie di nuovi volti, soprattutto quelli di Alberto Galetti ed Alessandro Intini, a riproporre un aggiornamento più ruspante del conterraneo Scamarcio, proseguendo con il decentramento geografico di un genere finalmente strappato allo strapotere produttivo ed anche iconografico delle città campione, e per finire ad uno stile grezzo e vitaminico, simile a quello che distinse un altro campione del cinema pugliese come l'Alessandro Piva de "Lacapagira".
Speriamo sia di buon auspicio.
(pubblicata su ondacinema.it)
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