Septimo
di Patxi Amezcua
con Ricardo Darin, Belen Rueda
Spagna, Argentina, 2013
durata,
Da quando si è liberato dall'antico retaggio il cinema argentino ha iniziato lentamente a cambiare pelle, offrendosi al mercato, è questa è già una novità, con produzioni svincolate dalla necessità di testimoniare in un modo o nell'altro i grandi misfatti di quel paese. Abbandonata la sua funzione pedagogica, peraltro sempre presente nell'impegno civile di molti suoi attori (primo fra tutti Riccardo Darin, protagonista del nostro film) la cinematografia argentina è riuscita persino a vincere un Oscar, e ora si propone come abituale frequentatrice di generi (l'ultimo in termini di uscita è il cartoon "Gol") con film come "Septimo" di Patxi Amezcua, che strizzano l'occhio al cinema americano e la thriller in particolare.
In questo frangente al centro della questione c'è la misteriosa sparizione di due bambini, figli di un avvocato che si occupa di un processo contro un boss della malavita. Convinto che dietro l'accaduto ci sia la volontà di fargli abbandonare la causa, Sebastian cerca di mettersi in contatto con i malviventi per riuscire a pagare l'eventuale riscatto. Dipendente da un immaginario di matrice hollywoodiana, manifesta sia dal punto di vista visivo, come si evince dalla panoramica dall'alto che apre il film mostrandoci la ragnatela urbana dove si sta per compiere il delitto, che nella tipizzazione dei personaggi, accennati quel tanto che basta per essere funzionali al meccanismi dell'intreccio. Con un occhio rivolto al ritmo della scansione narrativa e l'altro attento a rispettare i codici di genere, "Septimo" macina colpi di scena a non finire, perdendo di vista la costruzione di una logica che sia in grado di rendere plausibile il come e il perchè della vicenda. Non tutto è' da buttare , e almeno la prima parte, quella che si svolge tra le scale e i piani del palazzo che fornisce la scena del delitto, risulta sufficientemente coinvolgente, con Ricardo Darin chiamato a recitare il duplice ruolo di detective improvvisato e di marito fedigrafo, costretto a recitare il mea culpa (ecco un altro lascito della lezione hollywwodiana) per la punizione che gli viene inflitta. La catarsi finale seppur sorprendente e moralista arriva in maniera troppo programmatica per risultare pienamente efficace. Darin, sotto impiegato, non basta a salvare il film da un deludente anonimato.
di Patxi Amezcua
con Ricardo Darin, Belen Rueda
Spagna, Argentina, 2013
durata,
Da quando si è liberato dall'antico retaggio il cinema argentino ha iniziato lentamente a cambiare pelle, offrendosi al mercato, è questa è già una novità, con produzioni svincolate dalla necessità di testimoniare in un modo o nell'altro i grandi misfatti di quel paese. Abbandonata la sua funzione pedagogica, peraltro sempre presente nell'impegno civile di molti suoi attori (primo fra tutti Riccardo Darin, protagonista del nostro film) la cinematografia argentina è riuscita persino a vincere un Oscar, e ora si propone come abituale frequentatrice di generi (l'ultimo in termini di uscita è il cartoon "Gol") con film come "Septimo" di Patxi Amezcua, che strizzano l'occhio al cinema americano e la thriller in particolare.
In questo frangente al centro della questione c'è la misteriosa sparizione di due bambini, figli di un avvocato che si occupa di un processo contro un boss della malavita. Convinto che dietro l'accaduto ci sia la volontà di fargli abbandonare la causa, Sebastian cerca di mettersi in contatto con i malviventi per riuscire a pagare l'eventuale riscatto. Dipendente da un immaginario di matrice hollywoodiana, manifesta sia dal punto di vista visivo, come si evince dalla panoramica dall'alto che apre il film mostrandoci la ragnatela urbana dove si sta per compiere il delitto, che nella tipizzazione dei personaggi, accennati quel tanto che basta per essere funzionali al meccanismi dell'intreccio. Con un occhio rivolto al ritmo della scansione narrativa e l'altro attento a rispettare i codici di genere, "Septimo" macina colpi di scena a non finire, perdendo di vista la costruzione di una logica che sia in grado di rendere plausibile il come e il perchè della vicenda. Non tutto è' da buttare , e almeno la prima parte, quella che si svolge tra le scale e i piani del palazzo che fornisce la scena del delitto, risulta sufficientemente coinvolgente, con Ricardo Darin chiamato a recitare il duplice ruolo di detective improvvisato e di marito fedigrafo, costretto a recitare il mea culpa (ecco un altro lascito della lezione hollywwodiana) per la punizione che gli viene inflitta. La catarsi finale seppur sorprendente e moralista arriva in maniera troppo programmatica per risultare pienamente efficace. Darin, sotto impiegato, non basta a salvare il film da un deludente anonimato.
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