I guardiani di Israele
di Dror Moreh
Israele, 2013
genere, documentario
durata, 101'
La concomitanza tra la visione de "I guardiani di Israele",
documentario di Dror Moreh inserito nel cartellone del Biografilm 2013, e
le notizie che ci arrivano da Gaza, con l'offensiva israeliana
impegnata a neutralizzare l'azione di Hamas bombardando i territori dove
esso si nasconde, è una coincidenza destinata a incidere
sull'equilibrio emotivo dello spettatore. Realizzato nel 2012 e
candidato alla nomination nella categoria di miglior documentario
nell'edizione degli Oscar dell'anno successivo, "The Gatekeepers"
(questo il titolo originale) deve la sua lungimiranza non tanto nella
proposizione di una questione, quella palestinese, che è da sempre al
centro del problema mediorientale, quanto piuttosto all'analisi che di
essa ne fanno i protagonisti del film. Ad essere intervistati infatti,
sono sei ex capi dello Shin Bet, il servizio segreto israeliano che ha il compito di raccogliere informazioni e formulare prodotti di intelligence in territorio nazionale (a differenza del Mossad
che svolge le stesse funzioni al di fuori dei confini dello stato). E'
attraverso la loro versione dei fatti che il film cerca di spiegare il
conflitto ebreo palestinese - a partire dalla guerra dei Sei Giorni e
fino agli eventi che precedono l'escalation delle ultime settimane-,
alternando immagini di repertorio e ricostruzioni fittizie (elaborate in
digitale) alle risposte degli uomini di stato che, tutti, nessuno
escluso, si sforzano di restituire in maniera linerare le dinamiche di
un conflitto che per ragioni storiche e politiche è riottoso a qualsiasi
tentativo di semplificazione.
Moreh è un intervistatore scomodo,
che non manca di sottolineare con le sue domande le contraddizioni di
una condotta bellica che procede al di fuori di ogni morale, e che per
questo considera il danno collaterale (ovverosia le vittime civili) come
un elemento che in molti casi non impedisce la messa in discussione
degli obiettivi da raggiungere, il film è anche una sfida alle regole
del gioco cinematografico, perché in questo caso la consapevolezza degli
interlocutori, abituati a districarsi tra le maglie di una retorica ben
più complessa di quella propostagli dal film, rendono difficile la
conduzione del "gioco" da parte dell'autore. Lo si nota dalla
compostezza degli intervistati e il tono, sicuro e controllato con cui
reagiscono ai passaggi più controversi, come quello che riguarda
l'uccisione a sangue freddo di due terroristi che hanno sequestrato un
autobus israeliano, oppure quando si tratta di scoprire uno dei gangli
di un sistema apparentemente inossidabile, e che invece l'uccisione di
Rabin, con quello che ne consegue in termini di sicurezza interna e di
politica estera, si scoprirà sorprendentemente vulnerabile. Pur in
presenza di questi fattori, il film riesce comunque a portare alla luce
contraddizioni e discordanze che appartengono tanto ai vari schieramenti
politici, colpevoli di "agire senza alcuna strategia" (queste le parole
usate dagli intervistati) e in balia di frange religiose e dei
movimenti di ultradestra che auspicano una nuova palingenesi (ricercata
nel progetto, per fortuna sventato, di far saltare il Duomo della
Roccia, situato nel cuore della Gerusalemme araba), che
all'organizzazione dello stesso Shin Bet, influenzata dal
personalismo dei vari plenipotenziari e spesso incapace di prevedere le
mosse del nemico; e poi, in maniera proporzionale al crescendo di una
drammaturgia fatta di immagini - della tragedia - che lasciano sgomenti,
si preoccupa di ricomporre i fili del discorso, arrivando alla certezza
che il dialogo sia l'unico modo per uscire fuori dal guado. A oltranza e
con qualsiasi tipo di interlocutore, come afferma in chiusura Avraham
Shalom, machiavellico nella gestione della crisi ma anche pragmatico
nell'ammissione di una sconfitta collettiva che solo il confronto tra le
parti in causa può rendere meno terribile.
Costruito come il più classico dei documentari d'inchiesta, "I guardiani d'Israele" non ha la presunzione di distinguere tra buoni e cattivi, quanto piuttosto di entrare nella mente del leviatano per cercarne di riportarlo alla ragione. Dalla banalità del male, tratteggiata con agghiacciate dovizia di particolari e con un'asetticità che ricorda quella di "The Fog of the War", all'enunciazione della duplice logica, politica ma anche religiosa, che spiega l'atteggiamento schizofrenico di Israele nei confronti degli accordi di pace siglati e poi in qualche modo sconfessati "I guardiani di Israele" è illuminante rispetto agli avvenimenti in corso e andrebbe guardato per evitare di accontentarsi alle versioni di facciata.
(pubblicata su ondacinema.it)
di Dror Moreh
Israele, 2013
genere, documentario
durata, 101'
Costruito come il più classico dei documentari d'inchiesta, "I guardiani d'Israele" non ha la presunzione di distinguere tra buoni e cattivi, quanto piuttosto di entrare nella mente del leviatano per cercarne di riportarlo alla ragione. Dalla banalità del male, tratteggiata con agghiacciate dovizia di particolari e con un'asetticità che ricorda quella di "The Fog of the War", all'enunciazione della duplice logica, politica ma anche religiosa, che spiega l'atteggiamento schizofrenico di Israele nei confronti degli accordi di pace siglati e poi in qualche modo sconfessati "I guardiani di Israele" è illuminante rispetto agli avvenimenti in corso e andrebbe guardato per evitare di accontentarsi alle versioni di facciata.
(pubblicata su ondacinema.it)
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