Il Clan
di, Pablo Trapero
con, Guillermo Francella, Peter Lanzani, Lili Popovich
Argentina, Spagna 2015
genere, thriller
durata, 108'
L’affollamento di casi cronachistici e vicende giudiziarie
trasposte, spesso abilmente, su grande schermo non sembrano inficiare
minimamente la progressiva e costante ricerca di originalità profusa nella loro
realizzazione, impedendo difatti l’implosione e la concatenata atrofizzazione
del genere. El Clan zigzaga a folle
velocità tra i topoi e gli stantii stereotipi, li evita accuratamente e si
ammanta di una freschezza stilistica inusuale, tipica delle produzioni latine
del periodo contemporaneo. Il materiale di repertorio sul quale si basa l’intera
vicenda fa da apripista ad un potente incipit che mostra il clan in medias res, la concitazione del
momento resa nel frenetico susseguirsi di inquadrature a cambi focali alterni,
una figura complessa e mai così magnetica di pater familias come protagonista
quasi assoluto del narrato. Arquimedes Puccio monopolizza l’attenzione dello
spettatore, calcola con lucida freddezza ogni mossa prima di agire e dimostra
un’impassibilità degna dei peggiori villain. Guillermo Francella, attore di
derivazione televisiva e di stampo prevalentemente comico, regala al proprio
personaggio uno spessore unico ed un’interpretazione fieramente cinica,
ergendosi a paladino della famiglia, orgoglioso nel proprio consolatorio ruolo
di preservatore del nucleo domestico. Il clan è anche famiglia e l’azione non
avviene mai in solitaria, le mansioni sono equamente suddivise, ogni membro è
coscientemente o inavvertitamente succube e complice del patron, non ci si
sottrae a tali imprese tanto facilmente e le conseguenze sono implicitamente
già contenute nelle premesse. Il legame con il figlio, il membro maggiormente
coinvolto nell’impresa di rapimenti eccellenti, sembra incrinarsi, il vincolo
fiduciario viene a mancare per un breve lasso temporale e l’intero asset
casalingo sembrerebbe avvertirne le ripercussioni, salvo poi riapparire più
solido che in precedenza, fortificatosi nel finanziamento della modesta attività
imprenditoriale filiare. Il nuovo impiego, tuttavia, non scalfisce neppure in
minima parte la frequenza di tali operazioni, abilmente coreografate e
corredate da un impianto musicale in grado di sottolineare con pressante
impellenza il ritmo concitato delle scene.
Il film si fa ritratto antropologico
di un nucleo familiare fondato sull’illegalità, operante senza remora alcuna in
acque intorbidite dalla mano di potenti la cui ombra si allunga sin sull’operato
dei Puccio. La ricerca di inquadrature inusuali, spesso frutto di abili cambi
focali giostrati in sede fotografica e opportunamente filtrati, rende il
ritratto di tale spaccato microcosmico dell’Argentina dittatoriale necessario,
valido nel suo procedere lentamente, con le sequenze scandite musicalmente e un’atmosfera
pregna di un’ironia marcescente che imputridisce le migliori intenzioni del
pater. L’oscurità dovrà dissiparsi e nel finale l’ormai decaduto appoggio
politico causerà la definitiva deflagrazione dei Puccio, un’implosione
sostanziale che riflette il progressivo disfacimento in cui stava versando il
clan. I pesci piccoli soccombono tragicamente, i pesci grandi non sopravvivono
ma boccheggiano. E alla grande.
Alessandro Sisti
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