Videodrome
di David Cronenberg
con James Woods, Deborah Harry, Sonja Smits
Canada 1983
genere, orrore, fantascienza
durata, 87’
Film dalla gestazione difficile, tanto che Cronenberg iniziò a lavorarci già nella prima metà degli anni Settanta quando scrisse una prima bozza dal titolo Network of Blood, Videodrome è probabilmente l’opera manifesto del cineasta canadese che qui porta all’estremo la riflessione sul corpo ma soprattutto sul cinema, sui mass-media e i loro effetti. Allucinatorio, labirintico ma allo stesso tempo lucido e metodico Videodrome porta con se mille riferimenti, dal Burroughs de La Rivolizione Elettronica, a Debord, a Macluhan, con accenni anche ad alcune teorie riguardanti il potere delle comunicazioni, come per esempio quella dell’ agenda setting. Cronenberg narra la storia di Max Renn, presidente della piccola emittente televisiva Canale 83, che alla ricerca di nuovi programmi per la propria piattaforma si imbatte in un segnale clandestino che trasmette immagini di torture e sevizie, rimanendone completamente soggiogato. Inizia così un viaggio alla ricerca della fonte di questa trasmissione che lo porterà in uno stato di completa incertezza in cui è impossibile percepire cosa sia reale e cosa no, perché, citando il Professor O’Blivion, uno dei personaggi del film, “Lo schermo televisivo è ormai il vero unico occhio dell’uomo … La televisione è la realtà, e la realtà è meno della televisione”.
Cronenberg costruisce un’opera riguardante il consumo delle immagini, indagando a fondo sul ruolo che lo spettatore assume di fronte ad esse. Quest’ultimo è portato a rinascere in una “nuova carne” ibridandosi con lo schermo televisivo, capace di modificarne lo stato percettivo. Perfetta in tal senso ed estremamente rappresentativa è la scena in cui James Wood, alias Max, viene completamente assorbito dalla tv in una specie di amplesso elettronico dal fortissimo significato. L’incertezza su cosa sia reale e cosa no aleggia comunque per tutta la durata del film ed è magistralmente costruita grazie alle magnifiche scelte registiche dell’autore che continua a variare i punti di vista della narrazione, quasi a voler applicare questa indeterminatezza anche al linguaggio cinematografico in una sorta di danza macabra che porta lo spettatore ora a dubitare ora ad accettare ciò che vede a seconda dello sguardo proposto. Non sempre siamo di fronte ad una narrazione onnisciente e non è un caso che film si apra con un Max mezzo addormentato svegliato proprio dalla tv, quasi a suggerire che il tutto sia in realtà frutto della sua fantasia, un lunghissimo sogno o un’allucinazione che lo vede come protagonista. Anche il finale, ancor più surreale, in cui James Wood decide di “rinascere” suicidandosi dopo aver visto se stesso farlo alla televisione suggerirebbe una tale lettura, oltre a porci il dubbio su che tipo di attori ci trasformiamo di fronte al bombardamento di immagini. Siamo attivi o passivi? Tutto questo però non scalfisce la forza dell’indagine del regista, pronto a riflettere sul rapporto ambivalente di repulsione e fascinazione che il corpo dello spettatore prova di fronte a ciò che viene riprodotto davanti a lui. In definitiva Cronenberg ci suggerisce di rinascere proprio come consumatori di immagini, perché ormai di fronte ad esse non possiamo più sapere se queste siano reali o meno. “lunga vita alla nuova carne!!”.
Andrea Ravasi
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