The lure/Córki dancigu
di, Agnieszka Smoczyńska
con, Marta Mazurek, Michalina Olszańska, Kinga Preis, Jakub Gierszał, Andrzej Konopka, Zygmunt Malanowicz
Polonia, 2015
genere, musicale, drammatico
durata, 92’
E se dicessi - non aspetterò !
E se spalancassi i cancelli di carne -
Li oltrepassassi per evadere - verso di te !
- E. Dickinson -
Da sempre uno dei caratteri davvero sorprendenti riscontrabili nell’universo cinematografico popolato da creature favolose - a loro volta origine, custodi e testimoni di un folklore che con silenziosa caparbietà continua a opporsi alla cancrena a-decorso-indefinito del materialismo - è la sua abilità di insinuarsi nelle pieghe dell’ordinario nella forma di una promessa, allo stesso tempo perentoria, invitante e, non di rado, insidiosa. Dettaglio, il predetto, tutt’altro che marginale se si prova a pensare quanto il tragitto opposto - a dire, quello che mira a elevare il dato di realtà a un grado tale di trasfigurazione da forzarne i limiti oltre i suoi confini consueti - sia spesso impervio se non, semplicemente, impraticabile. Tale sproporzione assume poi toni paradossali - ma, per fortuna, anche divertenti - se ci si sofferma sulla varietà di sfumature che il mondo alternativo del fantastico è in grado di declinare una volta venuto a contatto col prosaico dell’esperienza umana. Testimonianza, tra le disparate, ne è il lavoro di esordio della regista di Wroclaw Agnieszka Smoczyńska, abile a convogliare la tradizione e la classicità legate a una figura oramai impressa nell’immaginario collettivo, quale quella della Sirena, in virtù della fiaba anderseniana e delle successive incarnazioni animate e di celluloide, in un precipitato dinamico, acrilico e insinuante, in agile sintonia con la favola nera, il romanzo di formazione, languori adolescenziali, scampoli horror e di sensibilità camp, secondo il ritmo e gli umori del musical.
Date siffatte premesse, è persino scontato che le protagoniste di questa storia, Silver-Srebna/Mazurek e Golden-Zlota/Olszańska (tra l’altro, capricciosamente restie alla riconoscibilità che attribuirebbe loro una intuitiva fisionomia a partire dalla semplice suggestione dei patronimici: a dire che qui Golden identifica la bruna, mentre Silver connota la bionda), sirene ragazzine dal canto melodioso e metà corpo a misura di pesce (nel caso, di murena, con tanto di ostio vaginale ispezionato al momento di dare sfogo alla curiosità umana che mescola morboso, repulsione e meraviglia affidando al responso tattile il superamento della diffidenza che sempre avvolge il diverso), appena emerse dalle acque prossime a un night/strip-club, siano ingaggiate come attrazione, pronuba l’intercessione del trio musicale di punta del locale medesimo - Krysia/Preis, Mietek/Gierszał e Perkusista/Konopka - dal suo rattuso gestore, Kierownik sali/Malanowicz, in un tripudio di dance elettronica tardi anni ’70 (non manca, per dire, un’interpretazione di I feel love di Summer/Moroder da parte del volenteroso terzetto), ammicchi loliteschi, lepidezze (“Dove avete imparato il polacco ?” Risposta: “In Bulgaria”), voyeurismo impotente, pruriti soft-core, costumi improbabili, balletti in odore di Pro loco, testi dei brani musicali al contrario sovente in felice equilibrio tra spleen esistenziale, svenevolezze e caricatura beffarda di un sistema di vita, quello capitalistico, intravisto ma già in sospetto di rappresentare, con il suo denaro, le sue merci, la sua spensieratezza cretina, null’altro che la maschera terminale del vuoto, ossia l’ennesimo sollazzo per la Morte: tutto a mollo nella versione sgargiante e acidula di quella mestizia obituariale a un passo dalla catastrofe tipica dell’est Europa.
Dapprima acconce di buon grado al ruolo ascrittole di discinte guastatrici, Silver e Golden non tardano a calibrare la propria attitudine seduttiva ad appetiti ben più cogenti e atavici, quelli che la Smoczyńska conserva e attualizza dal mito (le ragazze, una volta sulla terraferma e assunto aspetto umano, riguadagnano la status ibrido previa aspersione degli arti inferiori; contestualmente riemerge la loro indole predatrice, nel caso esemplificata da una fitta dentatura aguzza della quale fanno le spese malcapitati troppo intraprendenti; in caso di innamoramento e mancata reciprocità di affetti il rischio è quello di dissolversi in spuma marina; la trasformazione definitiva da inquilino degli abissi a bipede sapiens è possibile ma può essere irreversibile, et.), irrobustendoli con una componente allusiva tanto urgente nella sua concretezza materica quanto straniante nei modi della sua rappresentazione. Si rincorrono, cioè, nell’eclettismo e nell’inventiva della messinscena, nella rutilanza di norma scientemente a un passo dalla parodia e dal sentimentalismo stucchevole, come nell’erotismo posticcio dei numeri musicali - gli uni e gli altri ad attenuare in parte l’andamento ondivago e frammentario della narrazione - echi, suggestioni e modelli di una visione squisitamente femminile del mondo - le volubilità, gli abbandoni e le ripulse nei suoi confronti - all’interno della quale entrano in gioco la scoperta del corpo, i di lui mutamenti nel passaggio dalla fanciullezza alla pubertà, così come lo slancio ambivalente tra il piacere di sentirsi desiderati e il rifiuto al pensiero di ridursi a mero trastullo di questo slancio, e quindi l’insoddisfazione e il disgusto verso una consuetudine maschile avvinta nei suoi piccoli cabotaggi, tante volte soddisfatta della propria imbecillità e miseria morale, vissuta come ostacolo al libero dispiegarsi dell’estro vitale e dell’immaginazione di cui Silver e Golden nello specifico, e la figura della sirena in generale, incarnano alla lettera i presupposti e gli estremi. Del resto, la stessa recente ricorsività di questa creatura di confine in opere che indagano il disagio della crescita, l’affacciarsi del corpo su un amalgama di reazioni chimico-fisiche che non risponde unicamente agli ukase biologici della sopravvivenza, le antinomie psicologiche generate da un contesto sociale che prescrive ancora, sotto mentite spoglie egualitarie, comportamenti gregari, sta a testimoniarne al contempo la malleabilità letteraria e la propensione a risuonare nella modernità in ragione di uno spettro di varianti tanto ampio quanto articolato. Se infatti, e solo per fare un esempio a portata di mano, per la Mia di “Blue my mind” della Brühlmann (vd.), la progressiva scoperta della propria vera natura va a confliggere con un travagliato percorso di accettazione e affermazione di sé, per la coppia tratteggiata dall’autrice polacca le pulsioni e le ambiguità insite in un essere vivente in bilico tra due specie (Silver e Golden sono, alternativamente epperò in sapida contraddizione, arrendevoli e manipolatrici, maliarde e aggressive, soavi e ferine, altruiste e crudeli) fungono da carica esplosiva piazzata al centro di un microcosmo - metonimia in sedicesimo dell’edificio sociale tutto - tarato sul grigiore e sulla menzogna (il rapporto sfinito tra Krysia e Perkusista), sull’avidità (Kierownik sali, padre-padrone del locale) e sull’inganno (Mietek lusinga, disprezza apertamente e infine tradisce Silver-Srebna), in relazione alla quale il sostrato ridanciano, déraciné e glitterato non è che la miccia che, alla fine, qualcuno si prende la briga di accendere.
Anche per tale motivo “The lure” convince di più quando si arrischia e indulge sull’equilibrio precario che separa provocazione e sberleffo, quando ostenta la fascinazione per certi versi ingenua per il proprio edonismo ruspante, quell’infantile e gioiosa capacità di sublimare il presente irridendolo, prima che i rapporti di forza quantitativi, le trappole della passione e financo i sottotesti edificanti della fabula pretendano il ristabilimento di un ordine purchessia.
TFK
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