domenica, marzo 14, 2021

Berlinale 2021. Natural Light

Natural Light

di Denes Nagy

con Ferenc Szabo

Ungheria, Lettonia, Francia, Germania, 2021

genere, bellico, drammatico

durata 103'



Natural Light di Dénes Nagy racconta le tenebre della ragione attraverso un racconto di guerra in cui la forma diventa sostanza. In competizione nel concorso ufficiale della Berlinale 2021.

L’inizio di Natural Light del regista ungherese Dénes Nagy è scandito dalla natura delle cose. Un uomo a bordo di una zattera procede lungo il corso del fiume lasciando alla corrente il compito di condurlo a destinazione. Primordiale e spoglio,  l’ambiente circostante sembra regalare al viaggiatore un momento di tregua che la mdp racchiude in un estasi visiva bruscamente interrotta dall’urlo proveniente dalla foresta circostante. Il cambio di scena ci consegna un inserto di egual tenore ma di segno opposto, perché tra gli alberi e in mezzo al fango la carovana militare fatica ad avanzare, continuamente respinta da quegli stessi elementi che in precedenza erano stati favorevoli allo svolgersi del viaggio.

Così facendo in Natural Light lo scarto da cui scaturisce il senso del film si nasconde dietro la routine di un’azione di guerra “necessaria”,  quella messa in atto dal comandante per assicurare ai combattenti il rancio quotidiano e dunque il sequestro delle cibarie a bordo del natante. La frenesia dei gesti, l’incalzare degli ordini, la concitata partecipazione di un gruppo di persone senza un’identità che non sia quella dell’uniforme indossata  e soprattutto il rapporto di causa effetto tra l’idea e la sua realizzazione, ci dicono che il significato trascende la storia. Prendendo in considerazione l’agire umano inteso come volontà di determinare il corso dell’esistenza, allontanandosi da quella che è il suo normale divenire. Dunque l’inizio di Natural Light è la rappresentazione di un paradiso perduto. Mentre quello che segue è il tentativo di riconquistarlo, nonostante il male compiuto.

Se nel film – collocato nel pieno della seconda guerra mondiale – si raccontano i misfatti seguiti all’occupazione del territorio russo da parte delle milizie ungheresi, alleate dell’esercito nazista, è chiaro fin dall’inizio che alla pari di altre opere contemporanee incentrate sul medesimo tema, l’adesione al genere non è fine a se stessa.

Qui più che altrove, violenza e degrado, lungi dal diventare un’occasione di spettacolo, sono invece foriere di una riflessione che inizia e finisce dentro le anime dei personaggi. Soprattutto in quella annichilita e muta del sottotenente István Semetka (l’ottimo Ferenc Szabó), come già successo al Willard Coppoliano ma anche al soldato Witt del malikiano La sottile linea rossa,  chiamato al ruolo di testimoni oculare dell’immane tragedia.

Alla stregua di Apocalypse Now anche Natural Light è una sorta di viaggio nell’Ade. In cui però i termini di paragone, soprattutto formali, non guardano alle soluzioni messe in campo dal grande regista americano. Quanto piuttosto si rifanno alla lezione di László Nemes. Il regista ungherese è presente sia  quando si tratta di fare del punto di vista del protagonista una specie di occhio interiore sulla sorte delle vicende umane- seppure con immersioni non altrettanto totalizzanti ma attraverso pedinamenti e semi soggettive già usate dal regista de Il figlio di Saul -; sia nella capacità di stabilire una relazione intima tra protagonista e ambiente, in questo caso raggelata nei suoi momenti più drammatici attraverso il ricorso a campi lunghi e fuori campo (ancora Nemes, nelle urla senza corpo dei condannati a morte); che nella distanza fisica dai luoghi del delitto. Segnalando il rifiuto emotivo del protagonista, l’unico consentito a chi come lui è chiamato a rispettare gli ordini.

Di quanto la forma sia sostanza nel cinema ungherese lo dice la sequenza finale che, chiudendo il cerchio con quelle iniziali, ci riporta al concetto iniziale. Dopo tanti orrori è di nuovo una scena contemplativa a segnalare la fine del dramma. Anche qui il referente è ancora una volta l’elemento naturale e in particolare l’orizzonte a cui si rivolge lo sguardo di Ivan. Abbandonato sul sedile del treno che lo sta riportando a casa per una breve licenza. Fin li negata, la luce che trapela dalle nubi in via di diradamento intercetta una spiegazione simbolica prima ancora che narrativa, rappresentando il primato della ragione, ritrovata almeno fino a quando non ci sarà da mettersi di nuovo in moto.

In competizione nel concorso ufficiale della Berlinale 2021 Natural Light conferma la bontà di una cinematografia come quella ungherese, fucina di talenti capaci di primeggiare nel panorama internazionale.

Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidrivers.it)

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