Kisses
di, Lance Daly
con: Kelly O’Neill, Shane Curry, Paul Roe, Cathy Malone, Neilì Conway, Stephanie Kelly
origine, Irlanda, Svezia 2008
durata, 72'
You, my friend
I will defend
and if we change, well
I love you anyway
-- Alice in chains --
Essendo il nostro cosiddetto sistema più un’accozzaglia di sintomi sfuggita alla psichiatria che un tentativo un minimo coerente di tenere in piedi, unita e animata da spirito collaborativo una comunità di esseri umani, è del tutto ovvio che i più giovani esponenti del medesimo siano allo stesso tempo comprimari sconcertati/attoniti e vittime del suo estenuante disfacimento e che sovente siano indotti a reagire a tanto compiaciuto abbandono per il tramite di atteggiamenti e comportamenti da quello stesso ordine bollati a ruota - per cronica incapacità di elaborare risposte che non siano paternalisticamente demagogiche o sic et simpliciter repressive - come devianti.
Cosa dire, infatti, di fronte alle esistenze in apparenza già segnate di Kylie Lawless/O’Neill e Dylan Dunne/Curry, vicini di casa, undicenni dai modi spicci ma di fondo ritrosi, lingue lunghe (in specie Kylie) ma contegno tarato sulla difensiva, sguardi curiosi ma diffidenti perché già testimoni e interlocutori delle tristi bassezze che il deprimente teatrino dell’età adulta sembra non veder l’ora di cementargli addosso (il film di Daly si apre, non a caso, con l’immagine di un pesciolino esanime nel suo stesso acquario) come la più contagiosa e inevitabile delle maledizioni ? Come fare a contrastare la più che spiacevole sensazione per cui una vita di per sé afflitta dalla zavorra di prospettive limitate - reiterata nei sobborghi rurali di Dublino, tra fatiscenti villette a schiera e strade butterate di rifiuti (con buona pace delle eterne e pigre cartoline a base di verde Irlanda, per dire), sotto un cielo di norma plumbeo a incombere su spianate brulle bell’e pronte per le solite devastazioni edilizie, mentre sullo sfondo il mare ogni giorno si allontana un po’ di più - non si accartocci senza colpo ferire nella sua normalità (Dylan, asmatico, passa da una sessione di botte all’altra inflittagli da un padre/Roe imbecille - si noti il modo col quale pretende di far funzionare un tostapane - oltreché alcolizzato il quale, per non sbagliarsi, sottopone la madre/Conway allo stesso trattamento; Kylie, attorniata da fratelli tanto litigiosi quanto indifferenti e da una madre/Malone petulante e pettegola, fa di tutto per schivare la presenza di uno zio che in passato l’ha costretta a subire sordide attenzioni), finendo per trasformarsi, una volta per tutte, in qualcosa di schifoso e irredimibile ? Probabilmente e per lo più rassegnandosi a morire un tanto alla volta, uno strappo di calendario dopo l’altro o, magari, senza preavviso e subitaneamente, per l’effetto di un ultimo sussulto di stupida ferocia sfuggita di mano a coloro che non ne hanno mai abbastanza della propria miserabilità. Ma questo a undici anni non è ammissibile: almeno non senza avere estorto di pura ingenuità e disarmata strafottenza qualche scheggia di splendore a un mondo per forza di cose ancora sconosciuto, quindi tutto da scoprire, e non averla nel caso corroborata per mezzo della spinta allusiva e deliziosamente scostante di un universo sonoro - quello del bardo di Duluth, più volte evocato durante il film per via dell’omonimia col piccolo protagonista e riconoscibile grazie all’accompagnamento reso alle immagini da veri e propri classici, tra cui ritroviamo “Shelter from the storm”, “Subterranean homesick blues”, “Just like a woman” e “Tombstone blues” - capace di avvolgerne l’enigma e la mutevolezza in una membrana allo stesso tempo astratta e dolcemente carnale. Per tale ragione, dopo l’ennesima tragedia familiare sfiorata di un niente, in barba a un clima natalizio che nemmeno le ricorrenze incombenti sono state in grado di far attecchire per davvero, ai due ragazzini non resta che scappare, qualche soldo rubato in tasca e in testa l’idea molto vaga di provare a recuperare il fratello maggiore di Dylan - Barry - a sua volta uscito di scena due anni prima senza lasciare traccia, se non un vecchio recapito - Gardiner Street - da qualche parte nella capitale.
TFK
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