Siamo in Spagna e più precisamente a Salamanca, un luogo che nel cinema, per quanto mi concerne è paragonabile alle Isole vergini, in termini di sfruttamento visivo. Dicevo siamo a Salamanca per assistere al discorso del Presidente degli Stati uniti, intervenuto al Congresso Mondiale sulla guerra al terrorismo. La piazza ricavata all’interno del cortile di un maestoso quadrilatero murario adibito a spazio abitativo, è gremita di gente eccitata dall’evento ed i servizi segreti la sorvegliano come se fosse l’ultimo tesoro del mondo.
E’ in questi attimi, poco prima che il presidente prenda la parola che il film ci fa conoscere tutti i protagonisti della vicenda: una serie di facce tutte convincenti a partire da quella del redivivo Dennis Quaid nei panni di un agente appena tornato in servizio dopo una convalescenza causata dalle pallottole indirizzate al Presidente (William Hurt un ex grande attore che si guadagna da vivere prestando la sua faccia sempre uguale al miglior offerente) per continuare con il Matthew Fox di Lost, collega ed amico, Sigourney Weaver responsabile del network che filma l’avvenimento fino a Forrest Withaker, tornato a lavorare dopo la gloria dell’oscar nel ruolo di un turista in cerca di emozioni. Sono tutti lì quando in rapida successione 2 colpi di arma da fuoco colpiscono a morte il presidente ed una bomba esplode saturando l’aria e lo schermo con una nuvola di fumo che ricorda quelle seguite al crollo delle torri Newyorkesi. Il film in pratica si ferma qui perché quello che segue non è altro che un backward/forthward di quei minuti (tanti quanti sono i punti di vista dei personaggi) per ricostruire le dinamiche e catturare i responsabili. Sorvolando sui discorsi del cinema che riflette su se stesso (Il De Palma di Occhi di serpente, riferimento più o meno dichiarato dal regista, è un'altra cosa) e senza soffermarsi più di tanto sulla forma dello sguardo che è organico/meccanico, fatto di tessuti cellulari e meccanismi in fibra ottica (esaltato dal trionfo di schermi, telecamere e videofonini sempre in primo piano e che nel caso di Withaker sembrano un tutt’uno con il resto della sua fisiologia) possiamo dire che Prospettive di un delitto spreca l’eccellenza del cast nella riproposizione all’infinito di un meccanismo fin troppo prevedibile che non riesce ad integrarsi con i tempi dell’azione che risulta frenata dai continui andirivieni ed un intreccio che concepisce la suspence come sfinimento visivo e sonoro. A posteriori risulta più interessante constatare il paradosso di un film che si professa democratico, con il summit pacifista ed il Presidente deciso a non rispondere alle provocazioni dei terroristi per poi organizzare un carosello di violenza che, seppur esagerata e quindi in qualche modo anestetizzata, è aggravata dall’assoluta mancanza di ironia. Una presa di posizione che riproduce perfettamente lo stato d’animo di una Nazione che ha prodotto la propria nemesi.
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