martedì, ottobre 14, 2008

Miracolo a Sant'Anna




"In un momento di cambiamento radicale ringrazio Fabrizio e Carmen per il sostegno della loro amicizia"

YES WE CAN”, lo slogan del candidato democratico alla Casa Bianca deve aver contaggiato anche un battitore libero come Spike Lee, solitamente lontano dagli happening mediatici, e qui al contrario impegnato nella causa con un film che spinge verso una rivitazione della storia americana in chiave “Afro” ed ambisce al risultato più alto, per la volontà di legare la forma del suo cinema ai contenuti ed allo stile del neoralismo italiano.
Un omicidio senza movente e le giustificazioni che l’assassino rilascia ad un intraprendente giornalista sono il pretesto per un viaggio nel passato in cui si raccontano le vicende di un gruppo di “Buffalo Soldier”, soldati afroamericani che durante la seconda guerra mondiale militarono nelle fila dell’omonima unità, composta per la maggior parte da uomini di colore, qui costretti a condividere la realà della vita partigiana e le vicissitudini della popolazione occupata, dopo che un imboscata finita in tragedia li ha costretti a riparare all’interno del dispositivo avversario dislocato nella campagna toscana. L’incontro con un bambino misteriosamente scampato al massacro del titolo insieme alle relazioni che i superstiti stabiliscono con la componente locale danno modo al regista di ridisegnare non tanto la storia, che anche nella versione di Lee rimane alquanto romanzata e spesso di parte, ma l’iconografia che di essa è stata data dalla cinematografia statunitense che ha sempre escluso la presenza afroamericana dalla celebrazione dei suoi caduti. Un impegno non indifferente e che da solo basterebbe a costruire una carriera viene doppiato dall’incursione nelle vicende italiche, "illustrate" attraverso una serie di sottotrame, ora politiche, ora personali che finiscono per distaccarsi da quella principale e che forzatamente ne condividono lo spazio filmico. Acuita da un unità narrativa (il protagonista che racconta la storia) continuamente contraddetta (molti episodi appartengono alla memoria del regista demiurgo e non a quella del narratore che di fatto non era a conoscenza degli stessi), il film sembra incapace di sostenere la complessità della materia e fallisce anche sul piano empatico, distraendo lo spettatore con continui cambi di scena (e di toni) e togliendo ai personaggi ed ai loro interpreti il tempo necessario per andare oltre la finzione e superare lo stereotipo nel quale rimangono relegati. Ad eccezione della scena della carneficina del Serchio, in cui con un montaggio alternato tra la faccia della sirena tedesca che vuole far desistere i soldati dal combattere e quelle di chi invece non si tirera indietro, andando incontro ad un massacro costruito come se fosse quello del Soldato Ryan, in un crescendo di orrore crudele e grottesco, Miracolo a Sant Anna sembra un opera rimasta ancora sul quaderno del suo autore: girare sui luoghi che furono teatro di quegli avvenimenti, utilizzare un formato che diminuisce lo scarto tra realtà e finzione, così come il rifarsi al meglio del cinema war movie (ma oltre a Rossellini Eastwood e Spielberg anche Benigni meriterebbe i diritti d’autore per la caratterizzazione del bambino che ricalca quello da lui creato per la “Vita è bella”) deve essere il punto di partenza ed invece finisce per diventare il solo motivo di interesse: Lee interroga la Storia senza attenderne le risposte ma invece sottomettendola ad un ideologia che magari funziona quando scaturisce dal vissuto, ma diventa stucchevole e didascalica quando deve affrontare realtà che non gli appartengono. Con questo spirito si finisce per annullare le diversità, -L’eccidio di Stazzema è un urgenza risolta in maniera frettolosa, mentre le differenze tra “rossi e neri” sembrano appartenere alla celebre frase morettiana a proposito dei film di Alberto Sordi – a tutto vantaggio di chi ama nelle polemiche ci sguazza (tante sono state quelle che hanno preceduto l’uscita del film) ed a detrimento dello spettatore che vorrebbe vedere un opera compiuta. Dispiace per Lee, solitamente efficace ed anche per la compagine italiana impegnata a riacquistare una credibilità internazionale a cui quest’opera non rende un buon servizio.

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