venerdì, ottobre 24, 2008
VICKY CRISTINA BARCELLONA
Woody Allen esorcizza la morte rincorrendo storie sempre più affidate alla presenza ed alla giovinezza dei suoi attori. Il motivo della fascinazione americana per il vecchio continente, ampiamente sfruttato dalla letteratura e poi dal cinema d’oltreoceano, è il pretesto per mettere in scena una ronda amorosa in cui i motivi esistenziali si confondono con quelli più specificatamente legati alla sfera sessuale. Resi credibili dalla bellezza dei suoi interpreti e da un paesaggio spagnolo che mette in scena tutte le armi della sua forza seduttiva, gli intrecci amorosi dei personaggi si susseguono in maniera ondivaga fino ad un epilogo che ristabilisce le posizioni di partenza e confermano la filosofia alleniana sulla volubilità dell’uomo e l’importanza del caso nelle scelte che decidono vita.
La fragilità dell’elemento umano, enfatizzata dalla sempiterna presenza dei monumenti locali, su cui Allen si sofferma non solo per esigenze produttive (il film è stato sovvenzionato, non senza polemica, dalle istituzioni locali) ma anche per segnare la distanza che ci separa da quella coerenza strutturale, trova le sue ragioni nella disarmante spontaneità del pittore interpretato da Bardem, una sorta di “calamita/à” per la controparte femminile divisa tra ragione e sentimento.
L’evidenza delle sue parole ed anche della sua arte amatoria (che Allen come al solito spia dal buco della serratura) sconvolgerà le certezze e soprattutto la morale di un mondo anglosassone arroccato su principi indifendibili. “Vicky Cristina Barcellona” conferma la volontà del regista di alleggerire lo spessore delle sue storie ed il volume del suo frasario (sempre al di sopra della media) ma questa volta produce un film che fa fatica a stare insieme ed è quasi evanescente sul piano drammaturgico: consapevole della beltà delle sue attrici (Scarlett Johansson modello Monroe, la Cruz che rifà la Magnani,e la Hall, vera donna Allenniana per il groviglio di nevrosi e crolli psicologici che ne scandiscono i comportamenti) il registà si innamora dei loro corpi e lascia al didascalismo della voce narrante il compito di cucire le sequenze. I giornali ci informano di un film appena terminato, in cui la grande mela ed il suo celeberrimo cantore saranno di nuovo protagonisti. Dopo l’esilio europeo un ritorno gradito per quelli che amano il regista Newjorkese.
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3 commenti:
Non sapevo che il film fosse stato finanziato da istituzioni locali.
E' la cosa mi lascia perplesso.
Come è possibile che si finanzi un film dove la Spagna viene raffigurata in modo che più stereotipato non si può? Cibo, calici di vino ovunque, concerti per sola chitarra con pubblico sognante, Opere di Mirò contro le quali quasi ci si và a sbattere...mah. Fabrizio
mah, forse ai locali è bastata la carellata quasi documentaristica (stile sereno variabile) sui monumenti.. si hanno altre info sul nuovo film a new york?
questo mi ha un po' delusa, trama un po' piatta, risollevata solo dal carattere turbolento del personaggio interpreatto dalla cruz.
per fortuna al buon allen non manca mai l'umorismo ed anche questa volta si ride un po'.
il fatto che a severgnini abbia dichiarato, in un'intervista rilasciata recentemente per il corriere, che non farà più film divertenti come all'inizio della sua carriera (e dunque che prevarrà d'ora in poi, come già ci si era accorti, la vena più cupa ed introspettiva) è sì accettabile ma un po' inquietante... non vorrei che anche il frizzante umorismo di allen si appiattisse... no, dài..
Si ci sono notizie: i protagonisti saranno un comico americano di cui al momento mi sfugge il nome e la Rachel Wood di "Thirteen". A conferma della volubilità degli artisti il film sarà tutt'altro che cupo ma riproporrà la verve comica del regista che dovrebbe far parte della ciurma attoriale.Ed inoltre per me non è lo stile ma tutto il resto che mi ha lasciato piuttosto tiepido: persino la Cruz esaltata da molti e che qui ripropone un modello di recitazione alla "Magnani"...in cui il movimento esagitato e gli sguardi da tarantolata vorrebbero essere rappresentativi di una "malattia amorosa" che però non va oltre lo stereotipo.
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