L'innocenza di Clara
di Toni D'angelo
con Chiara Conti, Luca Lionello
Italia, 2012
Forse qualcuno osservando la giovane donna che in maniera sinuosa ma decisa si impadronisce del film e delle sue immagini, potrebbe meravigliarsi della confidenza inaspettata con i lineamenti di un volto che il cinema ha fin qui utilizzato con una certa parsimonia. Nel far questo lo spettatore ricorderebbe di certo il precedente illustre, quello che si imprime nella memoria del cinefilo per la rappresentazione di un assoluto altrimenti irraggiungibile. Era infatti il 2002 quando Chiara Conti, dopo un preludio non certo indimenticabile, entrava di diritto nel cinema che conta prendendo parte al capolavoro di Marco Bellocchio "L'ora di religione", passato alla cronache più per il clamore suscitato dalla bestemmia presente nel copione che per l'indubbia qualità del talento messo in campo. Nel film la Conti interpretava un personaggio in bilico tra realtà e fantasia, costruito su una sensualità carnale ed allo stesso tempo eterea. Avvolta in un velo di mistero, e tratteggiata con delicata ambiguità la sua presenza si faceva portatrice di un anomalia esistenziale capace di mettere in discussione le certezze di Ernesto Picciafuoco, il protagonista della storia. Un parte breve ma determinante nel consegnare all'attrice un cotè iconografico che Toni D'angelo ripropone quasi per intero nel suo nuovo film "L'innocenza di Clara", appena uscito nelle sale italiane dopo l'apprendistato festivaliero in quel di Montreal dove il film è stato selezionato per il concorso principale. Un'analogia che non riguarda solamente gli aspetti esteriori, quelli legati all'elemento biografico ed estetico - Clara potrebbe essere per fascino e movenze la sorella maggiore della Diana Sereni del film di Bellocchio - ma piuttosto la funzione svolta all'interno della storia, che alla pari di quella pensata dal regista piacentino, ma con conseguenze ben più drammatiche, agisce come fattore disgregante di una realtà altrettanto consolidata. Il personaggio di Clara infatti, con un passato sconosciuto ed un'attualità di intrigante femminilità corrisponde perfettamente all'eterno femmineo che nel cinema "noir", a cui "L'innocenza di Clara" chiaramente si informa, è da sempre sinonimo di un ambiguità che genera dolore. In questo caso a subire le conseguenze di quella manifestazione è l'amicizia tra Maurizio e Giovanni, due uomini legati da un sentimento di reciproco soccorso e mutua collaborazione, sancito dalla comune passione per la caccia, a cui entrambi si dedicano con metodica cadenza. Tutto funziona fino a quando Clara, dopo il matrimonio con Maurizio, reagisce all'assenza del consorte occupato nella conduzione della cava di marmo di cui è titolare, riallacciando i rapporti con un ex amante, ed iniziando a frequentare Giovanni, segretamente invaghito di lei. Un triangolo "allargato" capace di scatenare gelosie e vendette che solo il sangue sarà in grado di mondare.
Ambientato in un paesaggio lunigiano utilizzato sia come catalizzatore di uno stato emotivo - la cava di marmo ripresa dall'alto, con i protagonisti schiacciati nel fondo della sua depressione orografica evoca il gorgo in cui gli stessi stanno lentamente scivolando - sia nella sue possibilità di diventare metafora - la frana che blocca i lavori nella cava, che, nella corrispondenza tra le immagini del marmo frantumato e la presenza in loco dei due protagonisti sembra alludere allo sgretolamento delle loro certezze - "L'innocenza di Clara" è un altro di quei film italiani che prova a distinguersi inseguendo strade poco battute dalle nostre produzioni. E lo fa con una storia di personaggi e stilemi che appartengono di diritto al cinema di genere, e che, soprattutto nella figura di Clara, dark lady designata da un peccato originale che la porta inevitabilmente, e per sua stessa ammissione, a distruggere tutto quello con cui viene a contatto, ma anche in quelle maschili, vittime privilegiate di un destino fatto apposta per esaltare l'azione demolitrice della controparte femminile, trova la sua ragione di essere. D'Angelo è bravo a far corrispondere la forma al contenuto, rappresentando il disfacimento psicologico e materiale dell'universo che racconta con immagini apparentemente lineari, come lo è a prima vista la vita dei personaggi, e come quella invece, subdolamente difettosa, nella artificiosa ripetizione di alcune sequenze (quelle di Clara che fa visita al padre accompagnata da Maurizio e successivamente anche da Giovanni sono realizzate in fotocopia) nelle prospettive leggermente sghembe e nella a fuoco appena sfocata, oppure nel ricorso continuo ad oggetti (specchi, bicchieri, finestre) che duplicano la figura di Clara, richiamandone la doppiezza che ad un certo punto distingue i suoi comportamenti. Adottando uno stile che procede per sottrazione e utilizza l'ellissi come mezzo per intensificare il clima di sospensione in cui è immersa la vicenda, D'angelo si sottrae alla ridondanza di molto cinema nostrano rivestendo la sua opera di un alone affascinante ed allo stesso tempo inedito, anche per la presenza di attori poco sfruttati, e quindi necessari con la loro "neutralità" a far da contrappunto ad una storia per altri versi eccezionale. Al contrario "L'innocenza di Clara" mostra la sua debolezza quando, invece di lasciare intatto il mistero, continuando ad affidarsi alla rarefazione visuale , decide di dargli corpo, con una scrittura che non ha la forza di farlo. In questo modo consegna la figura femminile ad un'evoluzione che si arricchisce di situazioni transitorie e ripetitive, che anche nel tema dell'amore impossibile proposto nella sottotrama dedicata alla relazione tra la figlia di Giovanni ed il ragazzo straniero fatica a dimostrare una reale necessità. E così in un anno in cui il cinema d'autore made in Italy ha mostrato la sua vitalità con riconoscimenti ottenuti nei festival di tutto il mondo "L'innocenza di Clara" è nel chiaroscuro del suo risultati la cartina di tornasole di un movimento che può già contare su registi ed interpreti di grande qualità. Nell'anno che verrà gli auguriamo di trovare anche le penne capaci di scriverne le storie.
(pubblicata su ondacinema.it)
di Toni D'angelo
con Chiara Conti, Luca Lionello
Italia, 2012
Forse qualcuno osservando la giovane donna che in maniera sinuosa ma decisa si impadronisce del film e delle sue immagini, potrebbe meravigliarsi della confidenza inaspettata con i lineamenti di un volto che il cinema ha fin qui utilizzato con una certa parsimonia. Nel far questo lo spettatore ricorderebbe di certo il precedente illustre, quello che si imprime nella memoria del cinefilo per la rappresentazione di un assoluto altrimenti irraggiungibile. Era infatti il 2002 quando Chiara Conti, dopo un preludio non certo indimenticabile, entrava di diritto nel cinema che conta prendendo parte al capolavoro di Marco Bellocchio "L'ora di religione", passato alla cronache più per il clamore suscitato dalla bestemmia presente nel copione che per l'indubbia qualità del talento messo in campo. Nel film la Conti interpretava un personaggio in bilico tra realtà e fantasia, costruito su una sensualità carnale ed allo stesso tempo eterea. Avvolta in un velo di mistero, e tratteggiata con delicata ambiguità la sua presenza si faceva portatrice di un anomalia esistenziale capace di mettere in discussione le certezze di Ernesto Picciafuoco, il protagonista della storia. Un parte breve ma determinante nel consegnare all'attrice un cotè iconografico che Toni D'angelo ripropone quasi per intero nel suo nuovo film "L'innocenza di Clara", appena uscito nelle sale italiane dopo l'apprendistato festivaliero in quel di Montreal dove il film è stato selezionato per il concorso principale. Un'analogia che non riguarda solamente gli aspetti esteriori, quelli legati all'elemento biografico ed estetico - Clara potrebbe essere per fascino e movenze la sorella maggiore della Diana Sereni del film di Bellocchio - ma piuttosto la funzione svolta all'interno della storia, che alla pari di quella pensata dal regista piacentino, ma con conseguenze ben più drammatiche, agisce come fattore disgregante di una realtà altrettanto consolidata. Il personaggio di Clara infatti, con un passato sconosciuto ed un'attualità di intrigante femminilità corrisponde perfettamente all'eterno femmineo che nel cinema "noir", a cui "L'innocenza di Clara" chiaramente si informa, è da sempre sinonimo di un ambiguità che genera dolore. In questo caso a subire le conseguenze di quella manifestazione è l'amicizia tra Maurizio e Giovanni, due uomini legati da un sentimento di reciproco soccorso e mutua collaborazione, sancito dalla comune passione per la caccia, a cui entrambi si dedicano con metodica cadenza. Tutto funziona fino a quando Clara, dopo il matrimonio con Maurizio, reagisce all'assenza del consorte occupato nella conduzione della cava di marmo di cui è titolare, riallacciando i rapporti con un ex amante, ed iniziando a frequentare Giovanni, segretamente invaghito di lei. Un triangolo "allargato" capace di scatenare gelosie e vendette che solo il sangue sarà in grado di mondare.
Ambientato in un paesaggio lunigiano utilizzato sia come catalizzatore di uno stato emotivo - la cava di marmo ripresa dall'alto, con i protagonisti schiacciati nel fondo della sua depressione orografica evoca il gorgo in cui gli stessi stanno lentamente scivolando - sia nella sue possibilità di diventare metafora - la frana che blocca i lavori nella cava, che, nella corrispondenza tra le immagini del marmo frantumato e la presenza in loco dei due protagonisti sembra alludere allo sgretolamento delle loro certezze - "L'innocenza di Clara" è un altro di quei film italiani che prova a distinguersi inseguendo strade poco battute dalle nostre produzioni. E lo fa con una storia di personaggi e stilemi che appartengono di diritto al cinema di genere, e che, soprattutto nella figura di Clara, dark lady designata da un peccato originale che la porta inevitabilmente, e per sua stessa ammissione, a distruggere tutto quello con cui viene a contatto, ma anche in quelle maschili, vittime privilegiate di un destino fatto apposta per esaltare l'azione demolitrice della controparte femminile, trova la sua ragione di essere. D'Angelo è bravo a far corrispondere la forma al contenuto, rappresentando il disfacimento psicologico e materiale dell'universo che racconta con immagini apparentemente lineari, come lo è a prima vista la vita dei personaggi, e come quella invece, subdolamente difettosa, nella artificiosa ripetizione di alcune sequenze (quelle di Clara che fa visita al padre accompagnata da Maurizio e successivamente anche da Giovanni sono realizzate in fotocopia) nelle prospettive leggermente sghembe e nella a fuoco appena sfocata, oppure nel ricorso continuo ad oggetti (specchi, bicchieri, finestre) che duplicano la figura di Clara, richiamandone la doppiezza che ad un certo punto distingue i suoi comportamenti. Adottando uno stile che procede per sottrazione e utilizza l'ellissi come mezzo per intensificare il clima di sospensione in cui è immersa la vicenda, D'angelo si sottrae alla ridondanza di molto cinema nostrano rivestendo la sua opera di un alone affascinante ed allo stesso tempo inedito, anche per la presenza di attori poco sfruttati, e quindi necessari con la loro "neutralità" a far da contrappunto ad una storia per altri versi eccezionale. Al contrario "L'innocenza di Clara" mostra la sua debolezza quando, invece di lasciare intatto il mistero, continuando ad affidarsi alla rarefazione visuale , decide di dargli corpo, con una scrittura che non ha la forza di farlo. In questo modo consegna la figura femminile ad un'evoluzione che si arricchisce di situazioni transitorie e ripetitive, che anche nel tema dell'amore impossibile proposto nella sottotrama dedicata alla relazione tra la figlia di Giovanni ed il ragazzo straniero fatica a dimostrare una reale necessità. E così in un anno in cui il cinema d'autore made in Italy ha mostrato la sua vitalità con riconoscimenti ottenuti nei festival di tutto il mondo "L'innocenza di Clara" è nel chiaroscuro del suo risultati la cartina di tornasole di un movimento che può già contare su registi ed interpreti di grande qualità. Nell'anno che verrà gli auguriamo di trovare anche le penne capaci di scriverne le storie.
(pubblicata su ondacinema.it)
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