The Counselor-Il procurator
di Ridley Scott
con Michael Fassbender, Cameron Diaz, Javier Bardem, Brad Pitt
Usa, 2013
genere, thriller
durata, 117'
Un
amore mai sbocciato. Si potrebbe definire in questo modo il sentimento
che ha caratterizzato il connubio tra Hollywood ed i grandi romanzieri
della letteratura americana. Basterebbe pensare ai casi di Raymond
Chandler, ed a quello ancor più eclatante per i drammatici risvolti che
provocò sulla sua tenuta psicologica, di Francis Scott Fitzgerald,
l'autore de "Il grande Gatsby", stritolati dalle regole di un sistema
capace di annichilirne l'ispirazione. Una questione su cui “The
Counselor- il procuratore" si inseriva in maniera prepotente per il
fatto di presentare tra le sue fila uno scrittore come Cormac McCarthy,
considerato tra i più importanti del panorama contemporaneo, e già noto a
questi livelli per aver fornito il libro che ha consentito ai fratelli
Cohen di vincere un meritato Oscar. Rispetto a “Non è un paese per
vecchi” – questo il titolo del testo e poi del lungometraggio di cui
parlavamo poc’anzi-il nuovo film di Ridley Scott presentava il vantaggio
di avere a disposizione McCarthy in veste di sceneggiatore, con un
plot assolutamente originale, non derivato da una stesura preesistente,
ma scritto appositamente per il grande schermo. Un particolare da tener
presente, non tanto per valutare le qualità di scrittura dell’autore, ma
piuttosto per rendere conto della variante rappresentata da un
procedimento che partiva da un insolita premessa.
Per la prima volta
infatti nella carriera di McCarthy la parola e le sue manifestazioni
dovevano rispondere ai requisiti del cinema, un contenitore affascinante
ma complesso per la difficoltà di adattare la parola all’immagine. Per
affrontare la sfida il drammaturgo chiama a raccolta alcuni pezzi forti
del suo repertorio. Al centro della scena c’è infatti una vicenda di
sangue, ed a metterla in moto un protagonista che tenta di forzare gli
eventi rimanendone schiacciato. Il procuratore, uomo senza nome ma dal
forte senso etico (“E’ per questo che piaci alle donne”, gli dice
Reiner, spregiudicato uomo d’affari con cui entrerà in società) è
infatti il tipico rappresentante di un mondo in via d’estinzione, in cui
la visione romantica dell’esistenza e la fede nei valori tradizionali
ha ceduto il passo alla cupidigia ed al nichilismo della natura umana.
Una tentazione che colpisce anche il protagonista, quando nel tentativo
di assicurarsi una vita da sogno decide di gestire un carico di droga
proveniente dal confine messicano per conto di un potente cartello della
malavita. A fargli da intermediario oltre a Reiner (un Javier Bardem
con la solita capigliatura eccentrica) è Westray, habituè del
malaffare che lo mette in guardia sui rischi dell’impresa. Il consiglio
inascoltato si trasforma in una trappola per topi quando la sparizione
del prezioso carico scatena la vendetta di chi è convinto che il
procuratore ed i suoi soci siano i responsabili dell’accaduto.
Efficace come al solito nel far risaltare la fotogenia dei suo attori regalandogli una serie continua di piani medi e ravvicinati che valorizzano la plasticità dei corpi e la loro canonica bellezza, Scott, non riesce a cambiare passo, restituendo l'universo di McCarthy con immagini commerciali, che nella pulizia compositiva e nella patina di una fotografia che esalta i contrasti di colore, poco si addicono ai "luoghi oscuri" dell'artista di Providence. Una mancanza di profondità che appartiene anche al profilo psicologico dei suoi protagonisti, in alcuni casi assolutamente di facciata (il personaggio di Laura, la donna del protagonista intepretata da Penelope Cruz è poco più che un cameo) in altri, parliamo dei cattivi, sintonizzata su una recitazione sopra le righe che toglie ambiguità al villain di Javer Bardem, e finisce per ridicolizzare la spregiudicatezza di Malika, la dark Lady impersonata da Cameron Diaz, tolta alla commedia per una parte che la costringe a scene weirdo, come quella in cui deve mimare un amplesso acrobatico sul parabrezza di una macchina, oppure a sequenze superflue - la conversazione con Laura a proposito delle sue fantasie sessuali e la confessione sui generis -che la vedono impegnata in dialoghi ed azioni che faticano a trovare un senso sul piano della coerenza narrativa. Appesantita da dissertazioni filosofiche che dovrebbero essere il risultato di una speculazione che la vuota formalità del film non riesce a contenere, "The Counselor" non riesce neppure a sfiorare la dialettica tra personaggi ed ambiente, che è motivo fondante della poetica di McCarthy. Così alla fine a prevalere più che il determinismo selvaggio e misterioso del ciclo vitale dell'esistenza è il sensazionalismo truculento e sadico utilizzato per colpire i trasgressori (in termini di stranezza ed efficacia la garrota messa a punto dai sicari ricorda la pistola pneumatica di Cigurh del film dei Cohen) e la sensazione di un turismo cinematografico che chiama in causa, e spiace dirlo, anche la penna di chi l'ha concepito.
2 commenti:
In effetti non so bene cosa dire. Sono andata al cinema senza neanche sapere cosa andassi a vedere. Non vedo più neanche i trailer, perchè mi dicono troppo, o mi mettono fuori pista. I nostri cinema portano così pochi film che ci vado a vederli (quelli che mi piacciono, non certo Drangonball)e basta, perchè a me andare al cinema piace più che vedere un film.
Avendo letto tutto, ma proprio tutto, il MacCarthy tradotto in Italiano, e trovando il suo nome tra i titoli di testa, ho avuto un infartino, perchè immaginavo quei paesaggi desolati che sdirenano il cuore. Mentre lo vedevo sono stata colta dal pensiero "ma sarà un prequel di Non è un paese per vecchi?".
Inutile dire che personaggi e trama erano mischiati come polenta bagnata cruda. Siamo usciti dal cinema chiedendoci che diavolo avesse "quel tizio" sotto al casco, e per fortuna in tre siamo riusciti a ricostruire un minimo di fabula. Ciononostante le strade spoglie, i deserti battuti dal vento, seppur visti così poco e male, affascinano.
Ciao Lidia, ben tornata...
in effetti come hai potuto vedere qui sopra la perplessità è stata tanta anche da parte nostra. possibile che lo scrittore non si sia accorto della schizzofrenia di personaggi tirati da una parte e dall'altra da una sceneggiatura che di volta in volta li immaginava white trash della peggior specie, poi improvvisamente li trasformava in filosofi degni del miglior Parnaso..per Scott poi, dopo la delusione di Prometeus il film del rilancio si è trasformato in un nodo scorsoio tagliente come quello che vediamo verso la fine del film..
un saluto
nickoftime
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