The Homesman
di Tommy Lee Jones
con Tommy Lee Jones, Hilary Swank
Usa, 2014
genere, western
durata, 122'
Se il Western è un genere
passato allo storia allora esiste un'unica soluzione per continuare ad occuparsene, e
cioè realizzarlo come se fosse un'altra cosa. Una strada che certamente
ha percorso Tommy Lee Jones, giunto alla sua seconda regia con un film,
"The Homesman",
che alla pari del precendente ha avuto l'onore di partecipare, in concorso, all'ultima edizione del festival di Cannes, dove fino all'ultimo è stato pronosticato come possibile vincitore. Sappiamo tutti com'è andata a finire, con il film uscito a mani vuote nonostante le belle interpretazioni dello stesso Jones e di Hilary Swank, ancora una volta al fianco di un mostro sacro del cinema americano.
Dettagli
di contorno che nulla tolgono o aggiungono a "The Homesman", storia di
confine incentrata sul viaggio di una strana coppia - la zitella Mary
Bee Cuddye George Beegs, l'uomo che lei ha salvato da morte sicura -
incaricata di trasportare tre donne malate di mente da chi se ne
prenderà cura, attraversando lo spazio sconfinato e selvaggio
dell'America del xix secolo. Un impresa non da poco, considerato
che durante il cammino saranno costretti ad affrontare situazioni
paradigmatiche tipiche del genere, con indiani, fuorilegge e tutori
della legge pronti ad imporsi nella storia del film più per il carisma
iconografico ereditato dalla tradizione letteraria e cinematografica che
per doti contingenti, letteralmente consumate dall'entropia di un mondo
alla deriva. Figure del paesaggio che, nella mancanza di peso specifico, e
nella tangibile violazione delle regole - con l'elemento maschile in
completo disarmo toccherà a Mary Bee caricarsi di ogni responsabilità -
appaiono la certificazione del malessere di un genere filmico che
vive nel costante prolungamento della sua agonia. La regia di Jones leggittima
queste considerazioni, trasformando la frontiera americana in uno spazio
claustofobico che separa chi vi sta dentro dal resto del mondo. Come
dimostra l'escalation di
morti e di disgrazie che si moltiplicano quanto più la carovana si avvicina alla cosiddetta
civiltà. Quasi a dire che il western, con i tipi umani e le tradizioni che lo contraddistinguono, è un luogo
geografico e mentale "irriproducibile". Destinato a scomparire senza
lasciare alcuna eredità.che alla pari del precendente ha avuto l'onore di partecipare, in concorso, all'ultima edizione del festival di Cannes, dove fino all'ultimo è stato pronosticato come possibile vincitore. Sappiamo tutti com'è andata a finire, con il film uscito a mani vuote nonostante le belle interpretazioni dello stesso Jones e di Hilary Swank, ancora una volta al fianco di un mostro sacro del cinema americano.
Ancora una volta on the road, (anche
"Tre sepolture" era costruito su un viaggio "riparatore") il regista
Tommy Lee Jones affronta il suo film nell'unico modo possibile, e cioè
decostruendolo ai limiti del farsesco. Scelta che l'attore iscrive nel suo viso, deformato in una maschera da fool, e nella voce modulata su toni striduli e grotteschi. Ma che ricorre anche nella sceltà di un incipit -
la follia delle donne trasportate- di cui nessuno - come piu volte viene affermato - vuole parlare. Un
tabù che, nella sua indicibilità sembra
contaggiare l'anima del film, la cui urgenza rimane indefinita, simile allo sguardo delle donne che Mary e George si portano
dietro.
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