giovedì, dicembre 29, 2016

PATERSON

Paterson
di Jim Jarmusch
con Adam Driver, Golshifteh Farahani, Kara Hayward 
USA, 2016 
genere: drammatico
durata: 113' 



Paterson vive a Paterson, New Jersey, con la moglie Laura e il cane Marvin. Ogni giorno guida l'autobus per le vie della città, ogni sera porta fuori il cane e beve una birra nel pub dell'isolato. Mentre la moglie colleziona progetti fantasiosi e fuori portata e decora ininterrottamente la loro casa, Paterson appunta umilmente le sue poesie su un taccuino che porta sempre con sé. Nei suoi versi si fondono la passione per William Carlos Williams, nativo di Paterson, Ginsberg, O'Hara, ma anche il suo orizzonte quotidiano. Proprio il dono di uno sguardo poetico sembra essere ciò che lo eleva da una routine di luoghi e azioni uguali a se stesse e sottilmente angoscianti. Sono pochi i film che trattano la poesia riuscendo a fare di essa la propria sostanza e questo lavoro di Jarmusch si colloca tra i primi della lista. Non essendo, però, un film sulla poesia delle piccole cose, Paterson è, al contrario, un poema in sé, oltre che un viaggio nei meccanismi stessi della scrittura in versi e nel rapporto tra la parola e l'immagine, che chiama intrinsecamente in causa il cinema. Il viaggio comincia da subito e dal nulla, da quel primo richiamo ai fiammiferi, protagonisti della più nota e banalizzata poesia d'amore prévertiana, per poi contemplare la sorpresa, elemento imprescindibile, che qui s'affaccia nell'apparizione della prima coppia di gemelli, generata da un sogno della moglie e trasformata in ripetizione, che costellerà tutto il film. C'è poi il cane, la sua immagine reale e quella nel quadro, che ha attraversato un processo di interpretazione di astrazione eppure ne conserva, riconoscibilissima, la fisionomia. E l'ironia per cui il nome del protagonista coincide con quello della città così come il nome dell'attore, Adam Driver, con quello del suo mestiere nel film. Facendo dialogare con rimandi continui il mondo delle cose e quello delle parole, e usando sistematicamente la figura dell'anafora, Jarmusch costruisce un'opera che prende senso nel suo insieme, e non nel singolo passo, per quanto riuscito. Come Dante, citato non a caso, Paterson ci mostra ciò che vede durante la sua corsa, attraverso la città e l'esistenza, ci mette a parte degli stralci di conversazione che sente (bello il dialogo su Gaetano Bresci e la pena di morte affidato ai due protagonisti di Moonrise Kingdom, ancora in coppia, trasfigurati in anarchici neo romantici), degli incontri che fa, della natura irrompente del piccolo imprevisto. Jarmusch non racconta la storia di un genio incompreso, tant'è vero che la poesia di una ragazzina incrociata per caso è buona quanto quelle del protagonista o quasi; parla, invece, di un dono che ha il potere di cambiare ogni cosa, perché è quello di uno sguardo particolare sul mondo.
Ricardo Supino

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