martedì, aprile 14, 2015

HOMO FABER, IL CINEMA D'AZIONE DI THOMAS CAILLEY

Homo Faber, il cinema d'azione di Thomas Cailly


In occasione dell'anteprima nazionale de "Les Combattents" abbiamo incontrato il regista Thomas Cailley, autore di uno dei film più sorprendenti di questi ultimi anni.



Il titolo del film sembra alludere ad una vera e propria filosofia riguardante l’arte di vivere. E’ così?

Si, "The Fighters" parla proprio di questo. E' possibile passare la vita a porsi domande, oppure, come fanno i protagonisti della mia storia, cercare di andare avanti, passando dall'idea all'azione. Un automatismo che pervade tutto il film e che finisce per diventare il perno su cui ruotano vicenda e personaggi. Non è quindi un caso che Arnaud sia un costruttore di bare e che l'esistenza di Madeleine sia monopolizzata da un uso costante del corpo, sottoposto a lunghe sessioni di allenamento fisico necessarie a superare l’esame per entrare nell’esercito. In entrambi i casi a  prevalere  è la volontà di costruire qualcosa di concreto anche a costo di commettere degli sbagli.

La storia pur toccando argomenti delicati e descrivendo situazioni anche drammatiche è però attraversata da un sottile vena d’umorismo. Come sei riuscito ad ottenere l’equilibrio tra registri così differenti?

Lo humor di cui parli non era preventivato e se esiste è venuto fuori in maniera naturale. I personaggi fanno cose classiche e ordinarie ma la loro particolarità è quella di passare in un attimo dal pensiero all'azione. E' questo che mi piace di loro e che volevo trasmettere quando giravo il film. Ci sono momenti i cui i due protagonisti stanno bevendo qualcosa e parlano del più e del meno e subito dopo vengono coinvolti in qualcosa di pratico. Un modo di fare che non toglie nulla alla loro storia d'amore, al punto che anche quando si ritrovano nell’esercito riescono a conciliare l’addestramento con gli affari di cuore.

Come sei arrivato a “The Fighters”?

Volevo raccontare una storia d'amore, e mentre la scrivevo mi sono imbattuto in una serie di reality dedicati alla sopravvivenza, in cui i maggiori ostacoli derivavano proprio dall'ostilità dell'ambiente naturale. Allora mi sono chiesto se quel qualcosa che manca nella vita delle persone poteva trovarsi nel fatto di dover sopravvivere in un ambiente sfavorevole. M’interessava compenetrare le due fasi e vedere se il vitalismo di chi è costretto a lottare per continuare a esistere era in grado di aggiungere qualcosa all’emozione dell’amor


Il paesaggio è certamente uno dei protagonisti del film. Mi puoi spiegare qual’è stato il processo creativo che ti ha permesso di realizzare uno scenario al tempo stesso verosimile e fiabesco?

Il riferimento potrebbe sembrare irrispettoso ma mi torna utile per rispondere alla domanda. L'aneddoto riguarda David Lean e la risposta data a una giornalista che a proposito di "Lawrence D'arabia" e delle sue difficoltose riprese, gli chiedeva perchè avesse deciso di lavorare su un soggetto ambientato nel deserto. Lean rispose che il deserto era una cosa pulita; caratteristica che il regista attribuiva all'essenzialità dell'ambiente che gli dava la possibilità di far risaltare la centralità dei personaggi e le loro motivazioni. Io ho cercato di fare la stessa cosa, spogliando il film da tutto ciò che era superfluo. Dal mondo del lavoro e dal villaggio in cui vivono, i protagonisti si spostano successivamente dentro la caserma, che per forza di cose li esclude dalla maggior parte delle cose che appartengono alla quotidianità. Un cambiamento che ho voluto enfatizzare  anche dal punto di vista cromatico, utilizzando solamente il marrone, il verde e il grigio. E poi, con un ulteriore lavoro di sottrazione, ho spostato l’azione nella foresta più selvaggia e incontaminata.  Tutto ciò mi serviva per mostrare in che modo i miei personaggi sono in grado di reinventare il mondo. In pratica ho raccontato una fine e un nuovo inizio.


L’utilizzo della musica elettronica serve a dare ritmo al film come pure a far sentire il senso di straniamento che attanaglia l’esistenza dei personaggi. Mi spieghi come sei arrivato a questa scelta?

Nel cinema ci sono due modi di utilizzare la musica. La prima ha una finalità psicologica e serve per commentare lo stato d'animo dei personaggi. La seconda è invece legata al piacere di raccontare la storia e di fornirgli un ritmo. Nella musica elettronica c'è qualcosa che va avanti, che esprime quella continua progressione rintracciabile nel comportamento dei miei protagonisti. Avevo però bisogno di eliminare quella perfezione derivante dalla natura sintetica di suoni ricreati al computer. Una caratteristica adeguata a un film come "Drive" che anche nella sua estetica esprimeva un'impeccabilità davvero fuori dal comune. Io invece, avevo bisogno dell'energia propria della musica rock, e così ho realizzato la colonna sonora dal vivo, con strumenti musicali che mi hanno dato quelle piccole mancanze necessarie a riscaldare il sound del film.


Lo stile di recitazione degli attori è tanto particolare quanto efficace. Me ne vuoi parlare?

Gli attori che ho scelto hanno una natura molto fisica, simile a quella dei loro personaggi. Ed è proprio questa predisposizione che ho portato all'interno del film, nella certezza di riuscire a farla diventare l'energia della storia. Ogni gesto compiuto dai due ragazzi, anche il più semplice, viene compiuto con una serietà e una determinazione che la dice lunga sul carattere volitivo e sulla determinazione che li contraddistingue. Prima del film ho organizzato delle sedute di preparazione organizzate singolarmente perchè volevo che i due attori si conoscessero direttamente sul set e in coincidenza della scena che li vede per la prima volta insieme. Per farti capire meglio mi ricordo che ad un certo punto Aedel Haenel (Madeleine) risponde in un modo talmente veloce da rendersi incomprensibile. In quel caso invece di rallentarla le ho detto di accelerare la parlantina, e così ho fatto ogni volta che gli attori lasciavano entrare nel copione la parte più spontanea della loro personalità.

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