Waves
di Trey Edward Shults
con Taylor Russell, Lucas Hedges, Kelvin Harrison Jr
USA, 2019
genere, drammatico
durata, 135'
Forse perché la sua origine non è afroamericana o in virtù dell’indipendenza artistica e lavorativa sta di fatto che Trey Edward Shults riesce ancora una volta a spiazzare lo spettatore con un film che nessuno si aspetterebbe di vedere a certe latitudini. Raccontando la dispersione di una famiglia di colore a seguito di un tragico fatto di sangue si era portati a credere che il fattore scatenate la tragedia potesse essere ancora una volta la matrice razzista insita nella società americana e dunque che il protagonista del lungometraggio vi figurasse come agnello sacrificale di una società iniqua e discriminatoria. Al contrario Shults sceglie di ignorare il canovaccio utilizzato da registi come Barry Jenkins (“Se la strada potesse parlare”) e Ryan Coogler (“Fruitvale Station”) e dunque di abbandonare l’aspetto militante caro ai seguaci di Spike Lee per immergerci nel contesto borghese e benestante di una famiglia americana del tutto inserita all’interno degli schermi socio culturali del modello dominante, con Tyler studente bello, fidanzato e vincente alla pari degli altri famigliari, ognuno dei quali, nei rispettivi ambiti, impegnato a consolidare l’agognato e raggiunto status quo.
Ciò detto, se la bontà di "Waves" dipendesse dalla sua storia sarebbe poca cosa, descrivendo la parabola del protagonista e il disfacimento del suo nucleo famigliare senza alcuna variazioni rispetto alla classicità della sua componente melò, esaltata dal groviglio di sensi di colpa e dallo spaesamento con cui i personaggi reagiscono all’incidente mortale che condanna Tyler alla lunga pena detentiva. A fare la differenza in una maniera che negli ultimi tempi di rado abbiamo trovato così efficace è lo stile è soprattutto la forma con cui Shults mette sullo schermo l’energia, il senso di lutto e infine la speranza che accompagna la via crucis dei personaggi.
A meravigliare di più è l’apertura del film, in cui il regista si prende la briga di fare il punto sulla vita di Tyler, facendo di tutto per restituire il qui e ora del protagonista, impegnato a confermare le aspettative famigliari e dunque a primeggiare tanto nel privato (attraverso la relazione con una delle ragazze più carine della scuola) che nel pubblico, militando nella squadra di wrestling di cui Tyler e atleta di punta. Affastellate da un montaggio intenzionato a non perdere nulla delle giornate del ragazzo, le sequenze in questione regalano allo spettatore il ritratto di una società basata sul l’apparenza e sull’affermazione personale. In tal senso la bulimia della visione trova corrispondenza nella volontà di mettere lo spettatore nella condizione di vivere la dimensione "consumistica" del protagonista: dunque, di approcciarsi alle sequenze in questione senza avere la possibilità di approfondirle ma al contrario di viverle in superficie, apprezzandone la bellezza estetica, il virtuosismo tecnico (fatto di una serie ravvicinata di piani sequenza) e la continua spinta in avanti (segno che più di altri definisce l’importanza della performance), aiutata dal ritmo del montaggio come pure dai decibel della colonna musicale (opera di due campioni quali Trent Reznor e Atticus Ross).
"Waves" però si supera quando, alla prima parte del film, quella occupata dalle vicende di Tyler, ne fa subentrare una seconda in cui a diventare protagonista è la sorella del ragazzo che in qualche modo di sente responsabile per non aver impedito al fratello di compiere il folle gesto. Avendo a che fare con il carattere introverso e con il senso di colpa di Emily il film cambia forma, diventando all’opposto introspettivo e meditato, quasi fenomenologico nel rappresentare il doloroso percorso di ricostruzione del sodalizio famigliare. Testimonianza, questa, di un apparato estetico visuale mai fine a se stesso ma organico alla storia e al carattere dei personaggi, dei quali assorbe e poi raffigura umori e stati d’animo. Se i rimandi possibili del Korine di "Spring Breakers - Una vacanza da sballo" (nella prima sezione) e dello stesso Jenkins (nella seconda), rimane il fatto che il cinema di Shults dimostra di essere mai uguale e in continua evoluzione se non fosse per il nucleo centrale della sua poetica che, a fronte della varietà dei generi fin qui affrontati (il drammatico "Krishna", l’orrorifico e sottovalutato "It Comes at Night"), mantiene costante l'attenzione rispetto alle "onde" anomale che minano l’unità della famiglia americana. Presentato con successo al Festival di Toronto e prima ancora a quello di Telluride, "Waves" è stato selezionato dalla Festa del cinema di Roma. Se ci fosse un premio il film di Shults sarebbe tra i candidati alla vittoria finale.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it)
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