Denti da squalo
di Davide Gentile
con Tiziano Menichelli,
Virginia Raffaele, Stefano Rosci
Italia, 2023
genere: drammatico
durata: 104’
Un dramma mescolato alla
magia e alla fantasia di un bambino.
“Denti da squalo”, che
segna il debutto alla regia di un lungometraggio per Davide Gentile, è contemporaneamente
un dramma, un racconto di formazione e una magica avventura.
Walter (Tiziano Menichelli
che, nonostante sia la sua prima prova, è davvero convincente) è un tredicenne
che ha da poco perso il padre, per un incidente sul lavoro, e che, proprio a
seguito di questo fatto, non riesce più a comunicare con la madre (una Virginia
Raffaele alle prese con il suo primo ruolo drammatico). Distrutto dalla notizia,
la sua reazione diventa quella di essere insofferente a qualsiasi cosa e di non
provare più nessuno stimolo nemmeno nella gioia e nei colori dell’estate.
Questo finché, vagando ed entrando all’interno di una villa, a tratti
misteriosa, a tratti magica, non si imbatte in uno squalo. Convinto di essere,
in qualche modo, in connessione con l’animale vorrebbe “farci amicizia” e
passare del tempo con lui, ma non ha fatto i conti con il “custode” Carlo, un
bulletto del quartiere con il quale nascerà uno speciale rapporto.
L’esordio al
lungometraggio di Davide Gentile è il grido di un ragazzino che deve (per
voglia o per obbligo) crescere prima del tempo. Dopo la scomparsa del padre è
costretto dalle circostanze a diventare l’uomo di casa, a tenere il passo. Un
passo che spesso è ben più lungo di quello dei suoi coetanei. Ecco perché fa
amicizia con Carlo (fisicamente, e non a caso, più grande di lui) e perché ricerca
nello squalo una sorta di ancora di salvezza.
Proprio questo squalo sembra
prenderlo per mano e dirgli come affrontare il mondo e le sue paure. Paure che,
paradossalmente, diminuiscono quando si trova vicino al grande predatore. Un
predatore che, però, è diventato preda, anche e soprattutto di sé stesso,
costretto a vivere una vita relegato in una piscina che è tutto tranne che una
casa adatta a lui. E lo fa capire chiaramente al giovanissimo Walter, mostrandosi,
in superficie e agli occhi di tutti, come uno spietato predatore, ma, al “di
sotto” della piscina e alla sola presenza del protagonista, come un uccello in
gabbia che, ripetutamente sbatte il corpo contro il vetro sperando di riuscire
a fuggire a quello che sembra un triste e perenne destino.
Ma, di pari passo con lo squalo,
c’è un altro importante e primario elemento: l’acqua. L’acqua è, fin dalla
prima inquadratura, il filo conduttore della storia e il forte legame tra
Walter e lo squalo (e tutta la “tematica” che questo si porta dietro. C’è l’acqua
della piscina, prima torbida e poi pulita, c’è l’acqua con la quale “giocano”
Walter e Carlo e poi c’è l’acqua del mare, all’inizio vista come un ostacolo,
quasi impossibile da superare e poi come qualcosa in cui ci si può rifugiare e
ricominciare da capo. Se all’inizio le ombre, che poi diventano le sagome reali
di Walter e della madre, nere e scure risaltano sulla spiaggia affollata, sul
finire si amalgamano con i presenti come se avessero trovato “un posto nel
mondo”. Quello stesso posto tanto bramato dal padre (un Claudio Santamaria che
appare, in sogno, al protagonista, e che contribuisce a conferire un aspetto
magico, quasi mistico al racconto) e dal temibile Corsaro (Edoardo Pesce).
A fare da contraltare alla
formazione in questo senso del piccolo Walter c’è la madre, colei che cerca di
tenere le redini di ciò che resta della famiglia, ma che non riesce a essere
così impattante né per il giovanissimo né per il pubblico che fatica quasi a
comprendere certe sue scelte e decisioni, soprattutto in un momento di lutto
come quello che i due stanno vivendo.
Tante suggestioni, da
piccoli elementi che cercano di contestualizzare a decisioni e prese di
posizione, sono disseminate all’interno del film. Un film che, grazie anche a
prove attoriali convincenti e al giusto mix tra “generi”, non cade nell’esagerazione
e nel pietismo, ma cerca di raccontare in maniera semplice e naturale, seppur
con l’aggiunta di qualche elemento “magico” una storia come tante.
Veronica Ranocchi
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