Una relazione passeggera
di Emmanuel Mouret
con Vincent Macaigne,
Sandrine Kiberlain
Francia, 2022
genere: commedia,
sentimentale
durata: 100’
Se l’amore è un
sentimento universale, parametro indispensabile per misurare il livello di
felicità e di benessere presente nelle nostre vite, la sua trattazione non
sembra impressionare più di tanto l’immaginario del cinema contemporaneo, a
differenza di televisione e piattaforme, poco interessate ad approfondirne la
conoscenza. Le ricadute commerciali parlano chiaro: a fronte del primato di
"Better - Dannazione", best seller di Carrie Leighton incentrato su una
tormentata e dolorosa love story, ci sono film sul medesimo argomento destinati
ad accontentarsi del plauso della critica senza però riuscire a creare un vero
e proprio seguito. Valga per tutti l’esempio di Paul Thomas Anderson, cineasta
capace di mettere d’accordo pubblico e critica eppure anche lui uscito con le
ossa rotte quando si è trattato di sfidare le convenzioni del genere con un
film, "Ubriaco d’amore" (da cui Mouret sembra voler riprendere i motivi della
locandina), rivalutato solo in seguito e sulle prime considerato un’opera
minore del regista americano.
Tra le ragioni di tanta
disaffezione potrebbe esserci quella legata al primato della questione sociale
su quella sentimentale e, dunque, a una forma di autocensura da parte dello
spettatore, poco propenso a legare la propria immagine a un argomento ritenuto
frivolo e disimpegnato. Emozione e commozione suscitate dalle ragioni del cuore
diventano dunque qualcosa da nascondere, da consumarsi in privato e lontano dal
giudizio altrui. Un po' come fanno Charlotte e Simon, protagonisti di "Una
relazione passeggera", il nuovo film di un regista, Emmanuel Mouret,
imperterrito nel continuare ad arricchire i frammenti del suo discorso amoroso.
Certo è che rispetto alla
maggior parte delle commedie sentimentali il film di Mouret evita la
stucchevole abitudine di trasformare le peripezie amorose dei protagonisti in
una sorta di tragedia greca, ovvero di accompagnare le vicissitudini degli
amanti con un coro di personaggi pronti a parteggiare per l'uno e per l’altro
o, ancora di più, a dispensare giudizi sulla vicenda in corso, suggerendo al
pubblico la "morale della favola". Mouret preferisce adottare un
atteggiamento malinconico ma leggero, quasi divertito, in netto contrasto con
l’audacia dei personaggi, i quali, lungi dal sentirsi tali, ma consapevoli di
essere figli di un Paese capace di destituire il Potere inventandosene un
altro, sono disposti a spingersi oltre i limiti del perbenismo, coscienti della
caducità delle cose umane. Convinto da par suo che l’amore sfugga a qualsiasi
convenzione o tentativo di irreggimentazione (il flusso di parole altro non è
che il tentativo della ragione di imbrigliare il caos amoroso) l’autore
francese si concentra esclusivamente sui due protagonisti, mettendo in scena la
vita segreta, quella che i nostri decidono di concedersi all’interno di una
relazione che per Simon (il sempre più bravo Vincent Macaigne), sposato con
figli, è il massimo della trasgressione mentre per Charlotte (Sandrine
Kiberlain), madre single, fiera della propria indipendenza, è la conseguenza di
una libertà che si mantiene lontana dalla possessività dei rapporti umani.
Inseriti in maniera
realistica all’interno delle singole scene, i protagonisti del film riproducono
la dimensione totalizzante dell’incontro amoroso attraverso una messinscena che
favorisce la scoperta reciproca, separando Simon e Charlotte dal resto del
mondo. Introdotta dalle didascalie indicanti il giorno e il mese degli incontri
e suddivisa in una serie di quadri autonomi l'uno dall’altro (una discontinuità
utile a sottolineare la precarietà del discorso amoroso ma anche la sorpresa di
un ritrovarsi per nulla scontato), la relazione passeggera individua uno spazio
esclusivo, nel quale la conoscenza e l’intimità con l’altro non prevedono altre
intromissioni (in "Trompierie - Inganno" succedeva l'esatto
contrario). In questo senso, esemplare, è la scena iniziale all’interno del
pub, in cui la fatica di riuscire a parlarsi superando il rumore circostante fa
il paio con la difficoltà della macchina da presa di restare sui personaggi,
fagocitati dalla calca che li circonda. Non è un caso che da lì in poi la
caratteristica della messa in scena faccia registrare una rarefazione
dell’elemento umano, quando presente - come succede in uno dei passaggi più
riusciti, quello in cui Charlotte confida a Simon di essere stata abbordata da
un ragazzo più giovane di lei - è ridotto a pura funzione, utile a far scattare
il meccanismo del divertimento. Le eccezioni sono sempre disturbanti, come
succede quando l’amico chiede a Simon di poter spiare i suoi amplessi:
destabilizzanti, nel momento in cui i protagonisti, desiderosi di sperimentare
un ménage a trois, iniziano ad avere una relazione con una terza persona. La
presenza dell’altro è deleteria anche in maniera indiretta, attraverso le
parole del collega di Simon che mette in dubbio la premesse della loro
relazione. Mouret non manca di farcelo notare con una leggera carrellata in
avanti sul volto di Charlotte, turbata dai contenuti di quel discorso. D’altronde
nel cinema di Mouret tutto è lieve, anche nella scelta del linguaggio
cinematografico, mai brusco, né enfatico. Come succede al precipitare delle
cose, segnalato da una lieve esitazione di Charlotte, accompagnata da uno
scarto minimo dell’obiettivo; quanto basta per sottolineare l’importanza del
momento, concentrandosi sul volto della donna.
In una direzione che fa
dei personaggi il principio e la fine della propria condotta, la minima
variante alla centralità degli stessi appare vieppiù significativa. Come
succede nel campo lungo iniziale, in cui vediamo i protagonisti fuori dal pub
mentre si recano in casa di lei. Sovrastati dall’enormità delle strutture
architettoniche e ridotti a puro segno, la dimensione dei singoli personaggi è
riassunta dalla soluzione formale in cui la luce rossa che colora il caseggiato
costeggiato da Simon ci dice del senso di colpa misto a desiderio dell’uomo. A
differenza del candore giallastro di cui si colora il palazzo in cui si trova
l’appartamento di Charlotte, indicativo di un'emotività coerente e distesa.
Ancora più sorprendente è la soluzione adottata per mettere in discussione gli
esiti della storia e per riaprire i giochi, con la corsa dei protagonisti verso
la fermata della metropolitana, cristallizzata dal fermo immagine che li vede
sul punto di sparire dalla vista dello spettatore. La visione dei protagonisti
in corsa nella stessa direzione sottolinea la ritrovata intesa ma soprattutto
l’orizzonte di quel rapporto, con le caratteristiche di temporaneità esplicitate
dal tentativo di riuscire a salire sul treno, di fare "in tempo" a
salire sul vagone per diventare "passeggeri". Niente di definitivo,
ma in fondo, la speranza che possa diventarlo. Presentato in anteprima alla
scorsa edizione del Festival di Cannes, "Una relazione passeggera", è
uno dei film migliori dell’autore francese - vicino al sublime "Cambio
d’indirizzo” - anche per le ottime interpretazioni dei protagonisti, Macaigne e
Kiberlain, lontani dall’essere "oggetti" del desiderio
cinematografico e per questo, ancora più desiderabili.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)
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