venerdì, febbraio 16, 2024

DIECI MINUTI

Dieci minuti

di Maria Sole Tognazzi

con Barbara Ronchi, Margherita Buy, Fotinì Peluso,

Italia, 2024

genere: drammatico

durata: 122’

In uno dei momenti più critici del suo disagio esistenziale Bianca (Barbara Ronchi) si sente rivolgere una frase che le suona come una rivelazione. All’apparenza banale e un po' scontata la presa di coscienza che la solitudine non appartenga solo a lei, ma che sia qualcosa che accomuna l’intero genere umano non è solo un punto di svolta narrativo del film e, in particolare, del percorso di consapevolezza intrapreso dalla protagonista per reagire alla paura di vivere, ma riguarda anche una delle caratteristiche più lampanti del nuovo lungometraggio di Maria Sole Tognazzi, quella di parlare di un sentimento umano che tutti prima o poi ci siamo trovati a sperimentare.

Che poi “Dieci minuti” decida di declinarne le conseguenze prendendo in esame per la quasi totalità figure femminili non esenta la controparte da speciale immunità se è vero che pur addebitando il tracollo della protagonista all’abbandono da parte del proprio partner, il film evita l’alzata di scudi contro la categoria maschile e dunque la litania di cliché e stereotipi a cui ci ha abituato il cinema del #MeToo, presentandoci un quadro piuttosto variegato di torti e di ragioni equamente distribuiti tra le parti in causa.

Ma c’è di più perché prendendo in prestito il metodo curativo della dottoressa Brabanti (Margherita Buy), la psicoterapeuta da cui Bianca è in cura, “Dieci minuti” evita di piangersi troppo addosso preferendo l’azione alla commiserazione. Così succede che, pur non lesinando la dose di dolore e di apatia che accompagna le giornate della protagonista, mostrandoci anche in flashback le varie fasi del suo calvario, a fare da motore alla storia è la pars construens della vicenda, quella della politica dei piccoli passi in cui la “paziente” in prima persona - e senza scuse - si fa garante della propria guarigione.

Nella sceneggiatura scritta dalla Tognazzi assieme a Francesca Archibugi e ispirata al libro - “Per dieci minuti” - di Chiara Gamberale, la ricetta salvifica assume le forme a cui alludono i dieci minuti del titolo, con la serie di esperienze “iniziatiche”, brevi ma intense, fatte apposta per abituare Bianca a uscire fuori dalla propria confort zone, permettendole di guardare in faccia i fantasmi che le condizionano la vita.

Seguendo gli alti e bassi del suo personaggio, “Dieci minuti” si divide tra momenti di intensità drammatica, in cui afflizione e sfiducia la fanno da padrone, ad altri, quelli dedicati alla terapia, dove l’improbabilità delle situazioni scelte dalla donna fanno prevalere una dimensione più lieve e persino divertente: con Barbara Ronchi bravissima nel fare tesoro del suo eclettismo cinematografico (prova ne sia nel 2023 il successo ottenuto con due film diversissimi come “Settembre” di Giulia Steigerwalt e “Rapito” di Marco Bellocchio) e dunque a padroneggiare al meglio le variazioni della partitura drammaturgica, duettando con un' interprete di gran classe come Margherita Buy, perfetta in un ruolo in controtendenza rispetto a quelli che l’anno resa famosa, e con Fotinì Peluso (“Cosa sarà”, “Tutto chiede salvezza”), qui nel ruolo della sorella di Bianca, oramai pronta per un ruolo da protagonista.

Fedele alla matrice intimista del suo cinema, Maria Sole Tognazzi ancora una volta mette in scena una metamorfosi femminile tormentata e dolorosa in cui la rinuncia alle certezze del quotidiano diventano il modo per abbracciare la libertà di una nuova vita. “Dieci minuti” non fa deroghe, suggellando la rinascita personale della sua protagonista attraverso una sequenza - quella della panoramica conclusiva che ci mostra Bianca tuffarsi nel mare e prendere il largo - in cui l’eccezionalità della ripresa (rispetto alla scelta di utilizzare campi limitati in coerenza con le chiusure psicologiche della protagonista) fa il paio con la valenza metaforica della scena.

Nel mettersi a disposizione della storia e dei suoi personaggi la Tognazzi si rende artefice di una regia invisibile che produce senso lavorando sulla composizione interna dell’immagine, sui colori e sulla fotografia più che sui movimenti di macchina. Così è il rosa della casa bunker, sintesi efficace del mondo ideale in cui Bianca si è inconsapevolmente reclusa; così è la dominante blu degli interni, nel momento di massima disperazione ripresi come fossero una sorta di obitorio. La sensazione generale è però quella di una direzione che sembra farsi carico della condizione della protagonista, e dunque che si accontenta di portare a casa il risultato senza rischiare nulla. A differenza di Bianca, “Dieci minuti” non riesce a scrollarsi di dosso una prevedibilità che non lo rende terapeutico per l’esperienza dello spettatore.


Carlo Cerofolini

1 commento:

Anonimo ha detto...

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