Dieci minuti
di Maria Sole Tognazzi
con Barbara Ronchi, Margherita Buy, Fotinì Peluso,
Italia, 2024
genere: drammatico
durata: 122’
In uno dei momenti più
critici del suo disagio esistenziale Bianca (Barbara Ronchi) si sente rivolgere
una frase che le suona come una rivelazione. All’apparenza banale e un po'
scontata la presa di coscienza che la solitudine non appartenga solo a lei, ma
che sia qualcosa che accomuna l’intero genere umano non è solo un punto di
svolta narrativo del film e, in particolare, del percorso di consapevolezza
intrapreso dalla protagonista per reagire alla paura di vivere, ma riguarda
anche una delle caratteristiche più lampanti del nuovo lungometraggio di Maria
Sole Tognazzi, quella di parlare di un sentimento umano che tutti prima o poi
ci siamo trovati a sperimentare.
Che poi “Dieci minuti”
decida di declinarne le conseguenze prendendo in esame per la quasi totalità
figure femminili non esenta la controparte da speciale immunità se è vero che
pur addebitando il tracollo della protagonista all’abbandono da parte del proprio
partner, il film evita l’alzata di scudi contro la categoria maschile e dunque
la litania di cliché e stereotipi a cui ci ha abituato il cinema del #MeToo,
presentandoci un quadro piuttosto variegato di torti e di ragioni equamente
distribuiti tra le parti in causa.
Ma c’è di più perché
prendendo in prestito il metodo curativo della dottoressa Brabanti (Margherita
Buy), la psicoterapeuta da cui Bianca è in cura, “Dieci minuti” evita di
piangersi troppo addosso preferendo l’azione alla commiserazione. Così succede
che, pur non lesinando la dose di dolore e di apatia che accompagna le giornate
della protagonista, mostrandoci anche in flashback le varie fasi del suo
calvario, a fare da motore alla storia è la pars construens della vicenda,
quella della politica dei piccoli passi in cui la “paziente” in prima persona -
e senza scuse - si fa garante della propria guarigione.
Nella sceneggiatura
scritta dalla Tognazzi assieme a Francesca Archibugi e ispirata al libro - “Per
dieci minuti” - di Chiara Gamberale, la ricetta salvifica assume le forme a cui
alludono i dieci minuti del titolo, con la serie di esperienze “iniziatiche”,
brevi ma intense, fatte apposta per abituare Bianca a uscire fuori dalla
propria confort zone, permettendole di guardare in faccia i fantasmi che le
condizionano la vita.
Seguendo gli alti e bassi
del suo personaggio, “Dieci minuti” si divide tra momenti di intensità
drammatica, in cui afflizione e sfiducia la fanno da padrone, ad altri, quelli
dedicati alla terapia, dove l’improbabilità delle situazioni scelte dalla donna
fanno prevalere una dimensione più lieve e persino divertente: con Barbara
Ronchi bravissima nel fare tesoro del suo eclettismo cinematografico (prova ne
sia nel 2023 il successo ottenuto con due film diversissimi come “Settembre” di
Giulia Steigerwalt e “Rapito” di Marco Bellocchio) e dunque a padroneggiare al
meglio le variazioni della partitura drammaturgica, duettando con un'
interprete di gran classe come Margherita Buy, perfetta in un ruolo in
controtendenza rispetto a quelli che l’anno resa famosa, e con Fotinì Peluso
(“Cosa sarà”, “Tutto chiede salvezza”), qui nel ruolo della sorella di Bianca,
oramai pronta per un ruolo da protagonista.
Fedele alla matrice
intimista del suo cinema, Maria Sole Tognazzi ancora una volta mette in scena
una metamorfosi femminile tormentata e dolorosa in cui la rinuncia alle
certezze del quotidiano diventano il modo per abbracciare la libertà di una
nuova vita. “Dieci minuti” non fa deroghe, suggellando la rinascita personale
della sua protagonista attraverso una sequenza - quella della panoramica
conclusiva che ci mostra Bianca tuffarsi nel mare e prendere il largo - in cui
l’eccezionalità della ripresa (rispetto alla scelta di utilizzare campi
limitati in coerenza con le chiusure psicologiche della protagonista) fa il
paio con la valenza metaforica della scena.
Nel mettersi a
disposizione della storia e dei suoi personaggi la Tognazzi si rende artefice
di una regia invisibile che produce senso lavorando sulla composizione interna
dell’immagine, sui colori e sulla fotografia più che sui movimenti di macchina.
Così è il rosa della casa bunker, sintesi efficace del mondo ideale in cui
Bianca si è inconsapevolmente reclusa; così è la dominante blu degli interni,
nel momento di massima disperazione ripresi come fossero una sorta di obitorio.
La sensazione generale è però quella di una direzione che sembra farsi carico
della condizione della protagonista, e dunque che si accontenta di portare a
casa il risultato senza rischiare nulla. A differenza di Bianca, “Dieci minuti”
non riesce a scrollarsi di dosso una prevedibilità che non lo rende terapeutico
per l’esperienza dello spettatore.
Carlo Cerofolini
1 commento:
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