Inside out 2
di Kelsey Mann
USA, 2024
genere: animazione
durata: 96’
C’è sempre un po’ di
timore quando si parla di sequel. Se poi il sequel in questione va a toccare
uno dei film di maggiore successo la paura si fa ancora più concreta. Non è,
però, il caso di “Inside out 2” che, a distanza di 9 anni, torna sul grande
schermo per scavare ancora di più nella mente (dello spettatore e della “piccola”
Riley) tirando fuori dal cilindro nuove emozioni pronte a fornire ulteriori
sfaccettature alla protagonista e a tutti coloro che la circondano. E, infatti,
“Inside out 2” complica ancora di più le dinamiche della nostra mente, aggiungendo
complessità e difficoltà anche e soprattutto nelle azioni e nelle situazioni apparentemente
più semplici.
Ritroviamo Riley, in
piena adolescenza, che, all’età di 13 anni, viene scelta, insieme alle sue due
migliori amiche, per un campus speciale di tre giorni in quello che potrebbe diventare
il suo futuro college. Qui deve dare prova di sé e dimostrare alla coach che l’ha
selezionata e alle eventuali future compagne di squadra di essere all’altezza
delle aspettative.
In parallelo, ad aiutarla,
e, talvolta, a metterle i bastoni tra le ruote, ci sono Gioia, Tristezza,
Rabbia, Paura e Disgusto. Le cinque emozioni primarie sono convinte di aver
trovato un equilibrio perfetto e la chiave giusta per “governare” Riley. Non hanno,
però, fatto i conti con le nuove emozioni che si sviluppano durante la pubertà:
Ansia, Invidia, Imbarazzo, Ennui (“quella che voi chiamate Noia”) e, con
qualche sporadica apparizione, anche Nostalgia.
La convivenza tra le
emozioni primarie e secondarie diventa il fulcro di questo secondo capitolo
che, pur viaggiando sugli stessi binari del primo e riprendendone, almeno in
parte, la struttura, complica il tutto creando legami (di amicizia e distacco)
tra i vari personaggi. Sono le emozioni, così come nel primo film, le
protagoniste a tutti gli effetti. Emozioni, come sempre, ben caratterizzate con
un’attenzione maniacale ai dettagli, dai colori, alle espressioni, passando per
le parole usate e per il modo di rapportarsi.
La mente di Riley si apre
sempre più e si fa più complessa con tante zone nascoste, sconosciute, ancora
inesplorate, ma che verranno varcate e, in qualche modo, contaminate dalle emozioni
che cercheranno di riportare la giovanissima sulla retta via.
Come tutti i film Pixar,
e come soprattutto “Inside Out” ha insegnato, non c’è una formula ben precisa o
sempre uguale che possa fornire la soluzione corretta. Le uniche cose certe
sono collaborare, unire le forze e provare a mettersi l’uno nei panni dell’altro
in modo da arrivare a una conclusione che possa mettere d’accordo tutti e fare
il meglio per il diretto/la diretta interessato/a.
Una formula ormai consolidata
nell’universo Pixar e che, anche la Disney, ha preso in prestito negli ultimi
anni, un po’ cavalcando l’onda del politicamente corretto, cercando di
togliersi di dosso la maschera della classicità che prevedeva il salvataggio
della fanciulla da parte dell’eroe. E se anche “Frozen”, tanto per dirne uno,
punta sulla forza delle sorelle, “Inside out 2” punta sulla forza e sull’eterogeneità
del gruppo, addirittura pronto ad accogliere eventuali nuove e ulteriori novità.
A far storcere il naso,
però, c’è il “problema” che purtroppo le emozioni secondarie sembrano essere
solo e soltanto negative. La riflessione che emerge, quindi, è quella di una
pubertà come evoluzione negativa dell’infanzia. Perché di fatto i nuovi protagonisti
sembrano essere gli antagonisti del solido gruppo già formato. È vero che il
campo adolescenziale è talmente vasto che una direzione andava presa, a
discapito di altre importanti allo stesso modo, ma indirizzare il tutto solo e
soltanto su questo versante significa convincere i più piccoli, ma non del
tutto i più grandi.
Tra Easter Eggs,
citazioni e richiami (dai videogiochi ai cartoni animati, passando anche per i
cult del cinema), il secondo capitolo del film Pixar, stavolta diretto da Kelsey
Mann, va ancora più a fondo nella mente della ragazzina protagonista, ma non
scava nei meandri di quello che, come detto, è forse il periodo più complesso e
denso di sfaccettature in generale: l’adolescenza. Ed è forse proprio questa
complessità a tarpare le ali al film. Un film che potrebbe librarsi tranquillamente
in aria, è, in parte, troppo ancorato a terra e, forse per la materia trattata o
per l’incredibile cura nei dettagli o per entrambe le cose, dimentica di
sviluppare alcuni aspetti (o magari ha intenzione di farlo in un terzo
capitolo?). Se con l’avanzare dell’età le emozioni aumentano e la mente si fa
sempre più complessa e piena di sfaccettature, perché gli unici adulti dei
quali vediamo le emozioni (i genitori di Riley) hanno solo le emozioni primarie?
Forse perché si adattano alla situazione del momento e, dovendo parlare con un’adolescente,
nascondono e, quasi, reprimono quelle emozioni che complicherebbero ancora di
più le carte in tavola e il rapporto che vorrebbero creare con la figlia?
Magari questo potrà essere uno degli aspetti sui quali incentrare un terzo
capitolo per il quale si aprono davvero tanti scenari.
Intanto non resta che godersi
questo secondo capitolo, nuovamente campione di incassi, che con l’imbarazzo
di essere dimenticato dopo 9 anni, l’invidia, in quanto sequel, di
replicare il successo del primo, è tutt’altro che annoiato o noioso,
ma in costante e perenne ansia da prestazione, così come la nuova “co-protagonista”
arancione che ha conquistato chiunque fin dal primo istante, oltre a essere
colei che dà origine a una delle sequenze più spaventose, ma allo stesso tempo
magnifiche, di “Inside Out 2”, spiega a piccoli e grandi cosa vuol dire “provare
emozioni”.
Veronica Ranocchi
1 commento:
Ho visto proprio recentemente questo film e personalmente lo trovo uno dei migliori nel suo genere, perlomeno negli ultimi 10 anni. Andando più indietro nel tempo c’è sicuramente di meglio, ma devo dire che questo mi ha sorpreso positivamente. Complimenti per il blog!
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