La frode
di Nicholas Jareki
con Richard Gere, Susan Sarandon, Tim Roth
Usa, 2013
durata, 107
Sociologia del basso impero. E’ questo il complimento più bello che si possa fare ad un film come “La Frode” di Nicholas Jareki, dramma elisabettiano ed apoteosi della crisi, costruito sulla personalità del magnate Robert Miller, uomo d’affari ambiguo e spregiudicato, diviso tra il decoro dell’ambiente familiare, di cui incarna valori e patriarcato, ed i pericoli dell’oceano finanziario, nel quale Miller nuota con l’abilità di uno squalo. A fargli ombra una serie d’accadimenti che rischiano di metterlo in discussione su entrambi i fronti, e nel corso della storia, le conseguenze di scelte gravate dal senso di colpa per una morte che ha indirettamente provocato, e condizionate dalla necessita di salvarsi dalla bancarotta che potrà evitare se riuscirà a vendere come sana una società che è invece sull’orlo del tracollo. E’ questa la frode del titolo, ma non solo, perché grazie all’apporto del miglior Richard Gere di sempre, Jareki scoperchia e fa vedere l’inganno provocato dalla fascinazione dei soldi e del potere, due facce di una medaglia splendente ed insieme oscura, che Miller, con i suoi modi eleganti ma decisi, incarna alla perfezione.
Girato in maniera classica con una sceneggiatura forte e personaggi perfettamente delineati, “La frode” è un oggetto luccicante di fango, il dark side di un’America malata d’egoismo, posseduta dai demoni di una diversità che Miller confessa quando, riferendosi al ragazzo che lo sta aiutando a tirarsi fuori dai guai, e mettendosi per una volta a nudo, ammette la distanza (etica) che lo separa dalle persone normali, quelle che sono fuori dai giochi e che al massimo vi partecipano come semplici pedine. Una consapevolezza che in Miller diventa un programma per la conservazione della specie – messo alle strette risponderà di aver agito per salvaguardare gli interessi familiari - e come tale viene applicato alla totalità dei rapporti umani che seppur ammantati di levigata empatia sono quasi sempre dettati dal tornaconto personale, come il film ci mostra nell'incidente mortale di cui in qualche modo Miller è responsabile, ma che viene subito sottomesso agli interessi personali ed alla volontà di non lasciarsi coinvolgere. In questa fitta rete di espliciti e di non detti, di slanci generosi e ritirate calcolate Jareki, al suo primo film da regista, costruisce un thriller ansiogeno perchè compresso dal tempo e sviluppato come una corsa ad ostacoli, con i tentativi di divincolarsi del protagonista contrastati dalle indagini di un ispettore segugio e complicato dai dubbi morali di chi gli sta vicino.
Già sceneggiatore insieme a Breston Ellis di “The Informer”, Jareki dimostra di possedere un talento eccezionale che non si ferma alla sola scrittura, punto di forza del film, ma continua in una rappresentazione della stessa che il regista traduce con una regia dall’immagine pulitissima ma non asettica, in cui l’esattezza degli ambienti strabordanti di lusso coincide con la totale esteriorità di chi li frequenta. Creato con geometria millimetrica, equivalente perfetto alle analisi statistiche ed ai numeri dei rendiconti finanziari che attraversano la storia, il film si mette in discussione attraverso la doppiezza di un protagonista che si offre alla comprensione di chi guarda ed allo stesso tempo la delude per eccesso di egotismo. Scandito da una serie continua di rilocazioni ed aggiustamenti progressivi, a rendere l’idea di un mondo volubile, soggetto all'imponderabile seduzione del denaro, Jareki ci consegna l’immagine di una città fortezza, ago della bilancia dei destini dei popoli ed insieme simbolo di un olimpo che si staglia sulle vette dell’impero. Straordinariamente simile a "Steekspeel", capolavoro di Paul Verhoeven presentato all'ultimo festival di Roma, "La frode", è un film da non lasciarsi scappare e magari da godersi in lingua originale. Sicuramente uno dei più bei film visti in questa prima parte dell'anno.
Carlo Cerofolini
Nessun commento:
Posta un commento