RazzaBastarda
di Alessandro Gassman
con Alessandro Gassman, Giovanni Alzaldo, Manrico Gammarota, Matteo Taranto
Italia 2012
genere: drammatico
durata, 95'
"Razzabastarda" è già cinema ancor prima di girarlo. La sua genesi si nutre infatti di quella magia che appartiene ai sogni in celluloide, essendo il film di Alessandro Gassman la versione filmata di un testo teatrale, "Cuba and his Teddy Bear", strappato all'anonimato dall'intuito di Robert De Niro, che negli anni 80 decise di produrlo e di interpretarlo nei teatri off di Broadway, riscuotendo un insperato successo. Questioni d'intuito direbbe qualcuno, oppure di fortuna, se è vero che quella fu l'unica occasione in cui l'attore americano si prestò ad un'operazione del genere. Eppure il rapporto mancato tra un padre e un figlio, sullo sfondo di una periferia degradata e disumanizzata, ha non solo la forza di una tragedia shakespeariana per la consistenza violenta ed ancestrale di quel rapporto familiare, ma si adatta alla perfezione a un presente che anche in Italia è sempre più caratterizzato dal meticciato socio-culturale descritto a suo tempo dalla pièce di Reinaldo Podov.
Ambientato a Latina e girato prevalentemente in interni, "Razzabastarda" è la storia di un amore dimezzato dai condizionamenti del milieu delinquenziale ed ambiguo in cui si muovono Roman, pusher romeno ed analfabeta di origini gitane (da cui il titolo del film) e il figlio Nicu, adolescente prematuramente abbandonato dalla madre e in cerca della propria identità. Nella baraccopoli che costituisce la loro casa e funge da negozio per l'attività di gommista, Roman spaccia droga nella speranza di assicurare a Nicu un'esistenza diversa e migliore, e nel frattempo si occupa di lui soffocandolo con attenzioni incapaci di leggerne il disagio. Nel tentativo di contribuire al sodalizio, e all'insaputa del padre, Nicu si intromette negli affari del genitore con conseguenze imprevedibili e drammatiche.
Girato in un bianco e nero di una consistenza materica che sembra espellere dallo schermo la sporcizia morale e anche fisica di ambienti e personaggi, "Razzabastarda" esplode la sua rabbia in uno stile concitato e ferino che tende ad accumulare sensazioni e stati d'animo in una regia che non molla per un attimo gli attori; e una recitazione di stati d'animo tradotti da un attrito continuo di facce e di corpi che insieme costruiscono la rappresentazione di un mondo tribale e violento, applicato tanto agli immigrati romeni, ripresi in un sottobosco scandito da senso appartenenza - esemplare la scena in discoteca dove si sfiora la rissa fratricida per questioni di purezza di sangue - e desiderio di potere - il personaggio interpretato in maniera sorprendente da Matteo Taranto assomiglia a un padrino in salsa balcanica - che alla componente indigena, tra drogati, malavitosi e poco di buono, cristallizzati in un quadro di generale sopraffazione. Sdoppiato nel duplice ruolo d'attore e di regista, Alessandro Gassman se la cava egregiamente nel primo caso, accompagnato anche dalla bravura degli altri interpreti tra cui si segnala il promettente esordio di Giuseppe Ansaldo, mentre nel secondo dimostra di possedere un senso dello spettacolo che proietta il suo film dalle parti del cinema americano con una regia pragmatica, attenta al ritmo e concentrata su ciò che si vede - su tutti e tutto una fotografia espressionista giocata sulla prevalenza di ombre e chiaroscuri - in un modo che in tempi recenti avevamo già ammirato in "Acab". Meno efficace risulta invece il messaggio sociale, quello legato a una realtà di tipo pasoliniano, e contenuto in un'analisi del tessuto sociale che, in termini di resa testimoniale, rimane sacrificata alle esigenze di fruibilità e di azione. Un difetto che appartiene anche al cuore dell'opera, con il rapporto padre figlio un po' troppo a senso unico nella sua mancanza di sfumature. Ciononostante, il film è ben realizzato e non mancherà di trovare il suo pubblico.
(pubblicato su ondacinema.it)
di Alessandro Gassman
con Alessandro Gassman, Giovanni Alzaldo, Manrico Gammarota, Matteo Taranto
Italia 2012
genere: drammatico
durata, 95'
"Razzabastarda" è già cinema ancor prima di girarlo. La sua genesi si nutre infatti di quella magia che appartiene ai sogni in celluloide, essendo il film di Alessandro Gassman la versione filmata di un testo teatrale, "Cuba and his Teddy Bear", strappato all'anonimato dall'intuito di Robert De Niro, che negli anni 80 decise di produrlo e di interpretarlo nei teatri off di Broadway, riscuotendo un insperato successo. Questioni d'intuito direbbe qualcuno, oppure di fortuna, se è vero che quella fu l'unica occasione in cui l'attore americano si prestò ad un'operazione del genere. Eppure il rapporto mancato tra un padre e un figlio, sullo sfondo di una periferia degradata e disumanizzata, ha non solo la forza di una tragedia shakespeariana per la consistenza violenta ed ancestrale di quel rapporto familiare, ma si adatta alla perfezione a un presente che anche in Italia è sempre più caratterizzato dal meticciato socio-culturale descritto a suo tempo dalla pièce di Reinaldo Podov.
Ambientato a Latina e girato prevalentemente in interni, "Razzabastarda" è la storia di un amore dimezzato dai condizionamenti del milieu delinquenziale ed ambiguo in cui si muovono Roman, pusher romeno ed analfabeta di origini gitane (da cui il titolo del film) e il figlio Nicu, adolescente prematuramente abbandonato dalla madre e in cerca della propria identità. Nella baraccopoli che costituisce la loro casa e funge da negozio per l'attività di gommista, Roman spaccia droga nella speranza di assicurare a Nicu un'esistenza diversa e migliore, e nel frattempo si occupa di lui soffocandolo con attenzioni incapaci di leggerne il disagio. Nel tentativo di contribuire al sodalizio, e all'insaputa del padre, Nicu si intromette negli affari del genitore con conseguenze imprevedibili e drammatiche.
Girato in un bianco e nero di una consistenza materica che sembra espellere dallo schermo la sporcizia morale e anche fisica di ambienti e personaggi, "Razzabastarda" esplode la sua rabbia in uno stile concitato e ferino che tende ad accumulare sensazioni e stati d'animo in una regia che non molla per un attimo gli attori; e una recitazione di stati d'animo tradotti da un attrito continuo di facce e di corpi che insieme costruiscono la rappresentazione di un mondo tribale e violento, applicato tanto agli immigrati romeni, ripresi in un sottobosco scandito da senso appartenenza - esemplare la scena in discoteca dove si sfiora la rissa fratricida per questioni di purezza di sangue - e desiderio di potere - il personaggio interpretato in maniera sorprendente da Matteo Taranto assomiglia a un padrino in salsa balcanica - che alla componente indigena, tra drogati, malavitosi e poco di buono, cristallizzati in un quadro di generale sopraffazione. Sdoppiato nel duplice ruolo d'attore e di regista, Alessandro Gassman se la cava egregiamente nel primo caso, accompagnato anche dalla bravura degli altri interpreti tra cui si segnala il promettente esordio di Giuseppe Ansaldo, mentre nel secondo dimostra di possedere un senso dello spettacolo che proietta il suo film dalle parti del cinema americano con una regia pragmatica, attenta al ritmo e concentrata su ciò che si vede - su tutti e tutto una fotografia espressionista giocata sulla prevalenza di ombre e chiaroscuri - in un modo che in tempi recenti avevamo già ammirato in "Acab". Meno efficace risulta invece il messaggio sociale, quello legato a una realtà di tipo pasoliniano, e contenuto in un'analisi del tessuto sociale che, in termini di resa testimoniale, rimane sacrificata alle esigenze di fruibilità e di azione. Un difetto che appartiene anche al cuore dell'opera, con il rapporto padre figlio un po' troppo a senso unico nella sua mancanza di sfumature. Ciononostante, il film è ben realizzato e non mancherà di trovare il suo pubblico.
(pubblicato su ondacinema.it)
1 commento:
Qualche anno fa ho visto "Roman e il suo cucciolo", che poi sarebbe l'adattamento italiano della pièce di Podov. Già allora mi impressionò molto il lavoro che Gassman aveva fatto per costruire il personaggio dell'immigrato romeno (nella versione originale è un cubano). Gassman lavorava molto di fisico, con una gestualità accentuata che a teatro va benissimo ma che al cinema potrebbe non rendere come dovrebbe rischiando di trasformare in macchietta il personaggio. Spero che questo non sia accaduto, perchè la versione teatrale era davvero molto bella.
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