Come il vento
di Marco Simon Puccioni
con Valeria Golino, Filippo Timi
genere, drammatico
Italia, 2013
durata,
Tra i molti copioni che un attore si trova a leggere ce ne sono alcuni a cui è difficile rinunciare. A fare la differenza non è la qualità di scrittura, ne la capacità di sviscerare i temi contenuti nel testo. Capita infatti che l'attenzione degli interpreti venga catalizzata da fattori imponderabili che si legano intimamente al mestiere dell'attore, o piuttosto alla gratificazione insita nella pratica di alcuni ruoli. Stiamo parlando di quella dimensione di purezza e di necessità che certi personaggi riescono a trasmettere fin dalla pagina scritta. Afflitti dalla volubilità di un temperamento ondivago, e dall'effimero che ne scandisce le alterne fortune, gli attori sembrano vivere in attesa di questi incontri per riscattare con un overdose di concretezza la precarietà della propria arte.
Solo in questo modo si spiega il connubio tra la full immersion di Valeria Golino reduce dal successo del suo esordio registico (Miele),
chiamata a vestire i panni di Armida Miserere, direttrice di carceri e
figura emblematica di un Italia che resiste al dilagare di malavita e
corruzione, ed un film, "Come il vento", incapace di tenerle testa in
termini di talento e di orizzonti cinematografici. Da un lato la
possibilità dell'attrice di incarnare all'ennesima potenza la dignità
dell'umano, dall'altro la difficoltà di un regista, Marco Simon
Puccioni, di raccontare con coerenza vent'anni di storia italiana tra i
più complessi e tormentati della nostra Storia recente. Dall'ascesa del
terrorismo agli omicidi di Falcone e Borsellino, fino ai tentativi di
eversione derivati dalla presunta collusione tra stato e mafia, il film
di Puccioni rappresenta lo stato d'assedio in maniera paradigmatica,
girando il film dall'interno, e cioè dentro i luoghi di detenzione dove
la Miserere, figura realmente esistita, impegnò parte di un esistenza
segnata in maniera indelebile dalla scomparsa del collega e compagno,
Umberto Mormile, assassinato dalla camorra per motivi mai chiariti. Il
film inizia proprio da quell'omicidio, per poi svilupparsi attraverso il
percorso professionale della protagonista, caratterizzato da
un'inquietudine che la portò ad accettare incarichi difficili e
pericolosi. Pianosa, l'ucciardone di Palermo e Sulmona sono solo alcuni
dei nomi della genealogia delinquenziale con cui la donna venne a
contatto, e che riuscì a governare con rigore e determinazione,
nonostante i pregiudizi di un ambiente fortemente maschilista.
Il compito di Puccioni non era facile perché la drammatica complessità dei fatti raccontati imponeva una ricostruzione quanto mai rispettosa della Storia e delle persone coinvolte. In più c'era da evitare il pericolo di un ritratto agiografico che non avrebbe restituito la tensione di un personaggio degno di una piece shakespeariana. In questo senso la lettura del film si dimostra attenta nella collocazione cronologica e spaziale della vicenda, con nomi e didascalie puntualmente inserite per sottolinearne le cesure dei passaggi più importanti. Allo stesso modo risulta convincente la ricostruzione degli ambienti realizzata circoscrivendo la realtà alle strutture detentive che "Come il vento" non riproduce ma filma dal vivo. Un operazione filologica sostenuta dalla prova appassionata e convincente di Valeria Golino, barometrica nel replicare gli up and down emozionali di un'anima divisa in due. Ed è qui che subentra la delusione perchè Puccioni per valorizzare il lavoro di introspezione operato dalla Golino nei riguardi del suo personaggio privilegia gli aspetti privati della vicenda, finendo per semplificare il contesto che l'ha prodotta. Ci riferiamo per esempio all'esperienza nel carcere di Pianosa dove la donna visse e lavoro con una compagine interamente maschile, oppure al coinvolgimento voluto dal giudice Caselli che chiamò la Misere a Palermo per occuparsi dell'ordine e del rigore del carcere che si preparava ad ospitare le gerarchie mafiose, e per finire agli inserti dedicati ai rapporti con il detenuti, improntati a forme di reciproco rispetto. Passaggi fondamentali che nel mancato approfondimento riducono la portata e l'esemplarità di un personaggio la cui grandezza è più intuita che verificata, leggittimando la sensazione di un'opera meritevole ma incompleta.
(pubblicata su ondacinema.it)
di Marco Simon Puccioni
con Valeria Golino, Filippo Timi
genere, drammatico
Italia, 2013
durata,
Tra i molti copioni che un attore si trova a leggere ce ne sono alcuni a cui è difficile rinunciare. A fare la differenza non è la qualità di scrittura, ne la capacità di sviscerare i temi contenuti nel testo. Capita infatti che l'attenzione degli interpreti venga catalizzata da fattori imponderabili che si legano intimamente al mestiere dell'attore, o piuttosto alla gratificazione insita nella pratica di alcuni ruoli. Stiamo parlando di quella dimensione di purezza e di necessità che certi personaggi riescono a trasmettere fin dalla pagina scritta. Afflitti dalla volubilità di un temperamento ondivago, e dall'effimero che ne scandisce le alterne fortune, gli attori sembrano vivere in attesa di questi incontri per riscattare con un overdose di concretezza la precarietà della propria arte.
Il compito di Puccioni non era facile perché la drammatica complessità dei fatti raccontati imponeva una ricostruzione quanto mai rispettosa della Storia e delle persone coinvolte. In più c'era da evitare il pericolo di un ritratto agiografico che non avrebbe restituito la tensione di un personaggio degno di una piece shakespeariana. In questo senso la lettura del film si dimostra attenta nella collocazione cronologica e spaziale della vicenda, con nomi e didascalie puntualmente inserite per sottolinearne le cesure dei passaggi più importanti. Allo stesso modo risulta convincente la ricostruzione degli ambienti realizzata circoscrivendo la realtà alle strutture detentive che "Come il vento" non riproduce ma filma dal vivo. Un operazione filologica sostenuta dalla prova appassionata e convincente di Valeria Golino, barometrica nel replicare gli up and down emozionali di un'anima divisa in due. Ed è qui che subentra la delusione perchè Puccioni per valorizzare il lavoro di introspezione operato dalla Golino nei riguardi del suo personaggio privilegia gli aspetti privati della vicenda, finendo per semplificare il contesto che l'ha prodotta. Ci riferiamo per esempio all'esperienza nel carcere di Pianosa dove la donna visse e lavoro con una compagine interamente maschile, oppure al coinvolgimento voluto dal giudice Caselli che chiamò la Misere a Palermo per occuparsi dell'ordine e del rigore del carcere che si preparava ad ospitare le gerarchie mafiose, e per finire agli inserti dedicati ai rapporti con il detenuti, improntati a forme di reciproco rispetto. Passaggi fondamentali che nel mancato approfondimento riducono la portata e l'esemplarità di un personaggio la cui grandezza è più intuita che verificata, leggittimando la sensazione di un'opera meritevole ma incompleta.
(pubblicata su ondacinema.it)
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