I sogni segreti di Walter Mitty
di Ben Stiller
con Ben Stiller, Kristen Wiig, Shirley McClaine
Usa, 2013
genere, commedia, avventura, drammatico
Raccontato in questo modo "I sogni segreti di Walter Mitty" potrebbe far pensare ad un collage di significati ed intenzioni troppo grande e complesso per le ambizioni di un film, destinato a contendersi il primato del box office. Ed invece dal punto di vista degli incastri narrativi Ben Stiller riesce a far coesistere le diverse anime del film, grazie ad un meccanismo a scatole cinesi in cui le parole trovano sempre corrispondenza nel significato delle immagini. Così, se la guarigione del personaggio passa necessariamente per l'eliminazione della dicotomia che separa il sogno dalla realtà, Stiller ed il suo sceneggiatore organizzano un tragitto paradigmatico, in cui la rinascita del protagonista si compie attraverso un percorso salvifico costellato da emozioni che si innestato su una serie di situazioni limite. In questo modo l'eruzione vulcanica scampata sul filo di lana, il naufragio seguito ad un atterraggio di fortuna, il faccia a faccia con uno squalo bianco e perfino la detenzione in una prigione ai confini del mondo, nell'inverosimiglianza della progressione con cui si verificano, e quindi nella mancanza di una piena autenticità-certificano la ritrovata composizione dell'equilibrio psicofisico del personaggio, diventato una volta per tutte padrone della (messin)scena; come sancisce in modo eloquente la sequenza finale, quella del pieno ristabilimento, leggittimato dai rimandi al soggetto della fotografia che campeggia sulla copertina della rivista, che preferiamo non rivelare per non togliere allo spettatore il gusto della sorpresa. La grandezza del progetto, testimoniata anche dall'afflato ambientalista rappresentato dall'immersione nella meraviglie incontaminata del paesaggio naturale, e negli ideali di fratellanza e condivisione messi a punto dal protagonista nel corso della sua ricerca, sono in parte ridotti dall'eccessiva semplificazione dei contenuti e dalla presenza di clichè come risulta essere quello rappresentato dal "maledettismo" di Sean Penn, utilizzato per caratterizzare la personalità di Sean O Connell, il fotografo ramingo e solitario a cui Stiller non riesce a dare autonomia, ne profondità. Rimane di certo l'eleganza della confezione, e poi la simpatia d'invenzioni come quella della detenzione di Mitty nel carcere indiano, visualizzata attraverso una pantomima in bianco e nero che rimanda, forse, al gradino finale di un male oscuro che sta per essere mondato. Ma è troppo poco rispetto alla premesse che il regista ci aveva prospettato.
di Ben Stiller
con Ben Stiller, Kristen Wiig, Shirley McClaine
Usa, 2013
genere, commedia, avventura, drammatico
Una cosa è certa: Ben Stiller non è un regista banale. Se scorriamo la sua filmografia due
cose saltano all'occhio. La prima riguarda il numero dei film realizzati
- appena cinque in poco più di un ventennio- che
nella parsimonia dei numeri ne testimonia l'oculatezza delle scelte; la
seconda invece ci spinge all'interno del meccanismo cinematografico
affermando l'assoluta flessibilità di un dispositivo cinematografico capace di modulare nella stesso canovaccio l'intera gamma emozionale. "I sogni segreti di Walter Mitty"
rifacimento del quasi omonimo film del '47 intepretato da Danny Kaye,
sembra fatto apposta per ribadire la poliedricità dell'autore.
Perchè se è vero che i sogni di Mitty, così come la sua patologica incapacità di passare all'azione, con ciò che ne scaturisce in termini di dinamiche con il resto dei personaggi basterebbero da soli a soddisfare i requisiti di buon umore e divertimento che sono base indispensabile per qualunque commedia di successo, così non succede nel film di Ben Stiller. Il quale nel momento di massimo sfarzo tecnologico e citazionista, con le parodie di
film celeberrimi - dagli hero movies a Benjamin Button- ed effetti
speciali da far invidia alle produzioni della Marvel, decide di cambiare passo, e diremo anche genere, trasformando la sua creatura in un road movie avventuroso e filosofico, in cui Mitty con la scusa di recuperare il negativo della fotografia scelta come copertina del numero conclusivo della rivista Life, riuscirà a trovare il senso della sua esistenza.
Raccontato in questo modo "I sogni segreti di Walter Mitty" potrebbe far pensare ad un collage di significati ed intenzioni troppo grande e complesso per le ambizioni di un film, destinato a contendersi il primato del box office. Ed invece dal punto di vista degli incastri narrativi Ben Stiller riesce a far coesistere le diverse anime del film, grazie ad un meccanismo a scatole cinesi in cui le parole trovano sempre corrispondenza nel significato delle immagini. Così, se la guarigione del personaggio passa necessariamente per l'eliminazione della dicotomia che separa il sogno dalla realtà, Stiller ed il suo sceneggiatore organizzano un tragitto paradigmatico, in cui la rinascita del protagonista si compie attraverso un percorso salvifico costellato da emozioni che si innestato su una serie di situazioni limite. In questo modo l'eruzione vulcanica scampata sul filo di lana, il naufragio seguito ad un atterraggio di fortuna, il faccia a faccia con uno squalo bianco e perfino la detenzione in una prigione ai confini del mondo, nell'inverosimiglianza della progressione con cui si verificano, e quindi nella mancanza di una piena autenticità-certificano la ritrovata composizione dell'equilibrio psicofisico del personaggio, diventato una volta per tutte padrone della (messin)scena; come sancisce in modo eloquente la sequenza finale, quella del pieno ristabilimento, leggittimato dai rimandi al soggetto della fotografia che campeggia sulla copertina della rivista, che preferiamo non rivelare per non togliere allo spettatore il gusto della sorpresa. La grandezza del progetto, testimoniata anche dall'afflato ambientalista rappresentato dall'immersione nella meraviglie incontaminata del paesaggio naturale, e negli ideali di fratellanza e condivisione messi a punto dal protagonista nel corso della sua ricerca, sono in parte ridotti dall'eccessiva semplificazione dei contenuti e dalla presenza di clichè come risulta essere quello rappresentato dal "maledettismo" di Sean Penn, utilizzato per caratterizzare la personalità di Sean O Connell, il fotografo ramingo e solitario a cui Stiller non riesce a dare autonomia, ne profondità. Rimane di certo l'eleganza della confezione, e poi la simpatia d'invenzioni come quella della detenzione di Mitty nel carcere indiano, visualizzata attraverso una pantomima in bianco e nero che rimanda, forse, al gradino finale di un male oscuro che sta per essere mondato. Ma è troppo poco rispetto alla premesse che il regista ci aveva prospettato.
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