”Mud"
di: J.Nichols
con: M.McConaughey, T.Sheridan, J.Lofland, R.McKinnon,
S.Shepard, R.Whiterspoon, M.Shannon, J.D.Baker
Drammatico - USA 2012 - 135’
"Goditi il fiume, figliolo. Goditelo finche' puoi. Il nostro modo di vivere
non e' più di questo mondo", sussurra il padre - abiti logori, come disegnati
addosso, barba trascurata, dolci occhi stanchi e un'inquietudine senza più
parole a strisciare nel cervello - al figlio sullo spartiacque dell'età
difficile. Vivere il fiume per tentare di aprirsi ad un più ampio respiro;
allontanare il peso greve di esistenze che sembrano perpetuarsi per reiterare
gli stessi malanimi, fornire nerbo agli stessi torvi abbandoni e sottrarlo agli
affetti, alla comprensione. Con in più il fango ("mud") delle menzogne, mota
che insudicia da sempre i giorni ma che a quattordici anni può perfino fare di
peggio: renderli insopportabili, come una trappola, nell'illusione - magari
inerme, magari sfrontata, non per questo meno stupida - che possano guarire la
solitudine tipo una qualunque infezìone o un morso di serpente (qui, un
'mocassino acquatico') scongiurato (poi) in extremis, o il dono interessato di
una 45.
Anche in questa sua terza opera, gli occhi di Nichols si soffermano partecipi ma lo stesso ben intenzionati a restare vigili sull'azione delle forze che muovono e spesso sconvolgono nuclei familiari appartenenti a quello sterminato campionario umano che agita la cosiddetta "America profonda" o "altra America". Come già in "Shotgun stories" (2007) e nel successivo "Take shelter" (2011), infatti, e pur con risvolti diversi, l'interazione contrastata che si sviluppa all'interno di microcosmi caratterizzati sempre dalla presenza di giovane o giovanissima prole, e' il punto di contatto e di propagazione di una corrente metamorfica in grado di riverberarsi sulla realtà circostante: un luogo sospeso, questo (le cui risonanze, in un gioco dialettico di reciprocità, si ripercuotono sui destini individuali) fatto perlopiu' di pianure immense e silenziose; di cieli turchesi, all'apparenza imperturbabili (i leggendari "big skies") ma che in un niente possono diventare latori indifferenti di catastrofi simili a quelle che vibrano sottopelle, come se gli uni e le altre fossero da sempre nell'aria e avessero, a ben guardare, una natura comune e un comune punto di rottura. E d'interstatali che, meramente ripartendo ai lati della carreggiata - senza criterio, senza storia, senza futuro - inurbazioni anonime, vasti riquadri di asfalto adibiti a parcheggio per l'eterno consumo avventato e la gioia autistica del capitale e delle merci, 'terrain vague' residuale dove si accumula l'algore dissipativo e detritico della "modernità", più che a vere proprie vie di comunicazione, più che ad arterie che convogliano l'ossigeno del mondo, somigliano a canali privilegiati per la diffusione di un contagio tanto pervasivo quanto oramai sfinito dalla sua stessa bulimica persistenza.
In diretta contrapposizione a tutto questo, guidati dall'istinto selvatico dei loro pochi anni, forti di sguardi aguzzi, esigue parole e pensosi silenzi - armamentario che fa del suo meglio per ovviare alle membra esili per calzoni troppo larghi e magliette bisunte - Ellis/ un più che convincente Tye Sheridan, già incisivo in "The tree of life" di Malick e "Joe" di Gordon Green e Neck (bone)/Lofland, il compagno di sempre (anche lui con la sua brava famiglia a brandelli) scelgono il fiume, il Mississippi (come già la "giovane America" di Tom Sawyer e Huck Finn nell'immaginazione picaresca di Twain) che restituisce loro il suo "limo" migliore, Mud, appunto, (Matthew McConaughey, che pare avere accantonato i ruoli di eterno fidanzato/scapolo riottoso alle lusinghe/incognite della "stabilita'" e quelli dell'avventuriero un po' romantico, un po' spaccone, per concentrarsi sulle vicissitudini di personaggi ambigui e/o tormentati), figura eponima principe dell'"individualismo americano", taciturno e solitario, bugiardo e spavaldo, non estraneo alla violenza ma ligio ad un codice personale - elusivo ma insinuante come il suo accento del Sud -: intimo della "wilderness" quanto diffidente verso le (sovra) strutture che ne mediano il rapporto. Proverbialmente braccato, nel caso per le conseguenze di un amore nato sotto una cattiva stella (Juniper/Whiterspoon) e vissuto - ma e' stato davvero un attimo - sul crinale sdrucciolevole che impasta tenerezza e crudeltà e non esclude tra i suoi effetti collaterali l'omicidio, e in temporaneo esilio su un isolotto a largo del grande fiume, da qualche parte in Arkansas...
Il percorso verso la crescita di Ellis viene ritmato da Nichols sulle tappe - spesso tristi e scoraggianti eppure sempre intrise di una qual impertinenza vitalistica, unico controvalore degno della tentazione impossibile dell'innocenza - delle sue esperienze, delle sue precoci disillusioni, in un abbecedario dell'iniziazione alla vita che assegna a Mud il compito di estensore di una "pedagogia negativa", torbida, spesso adusa alla doppiezza come strumento di sopravvivenza e antidoto alle amarezze, quanto - paradossalmente ma nemmeno tanto - nei fatti più formativa di quella somministrata ad Ellis dalla famiglia, sorta di melma (ennesimo "mud") intrisa di silenzi senza scampo, di rabbie represse, di chiusure illusorie nell'angustia di piccoli mondi interiori inclini all'autocommiserazione, di cui già l'occhio lungo di uno come Blake aveva ammonito di diffidare: "Aspettati veleno dalle acque immobili". D'altro canto, proprio l'atteggiamento ribelle ma leale di Ellis costringe Mud a riavvicinarsi a quella parte di se' adolescente - incostante ma prodiga di slanci - che una quotidianità randagia, la pratica dell'espediente e del cinismo aveva seppellita chissà dove e quasi del tutto soffocata. L'itinerario esistenziale descritto nel film diventa così, in filigrana - saziati i debiti di sangue, recisi o allentati i legami che impacciano - il riempimento di uno spartito per due voci, ognuna delle quali assorbe dall'altra timbri e sfumature preziose, fino a modulare la stessa nota, la più adatta a fare da sottofondo all'ipotesi di un altro futuro: un sorriso.
TFK
Anche in questa sua terza opera, gli occhi di Nichols si soffermano partecipi ma lo stesso ben intenzionati a restare vigili sull'azione delle forze che muovono e spesso sconvolgono nuclei familiari appartenenti a quello sterminato campionario umano che agita la cosiddetta "America profonda" o "altra America". Come già in "Shotgun stories" (2007) e nel successivo "Take shelter" (2011), infatti, e pur con risvolti diversi, l'interazione contrastata che si sviluppa all'interno di microcosmi caratterizzati sempre dalla presenza di giovane o giovanissima prole, e' il punto di contatto e di propagazione di una corrente metamorfica in grado di riverberarsi sulla realtà circostante: un luogo sospeso, questo (le cui risonanze, in un gioco dialettico di reciprocità, si ripercuotono sui destini individuali) fatto perlopiu' di pianure immense e silenziose; di cieli turchesi, all'apparenza imperturbabili (i leggendari "big skies") ma che in un niente possono diventare latori indifferenti di catastrofi simili a quelle che vibrano sottopelle, come se gli uni e le altre fossero da sempre nell'aria e avessero, a ben guardare, una natura comune e un comune punto di rottura. E d'interstatali che, meramente ripartendo ai lati della carreggiata - senza criterio, senza storia, senza futuro - inurbazioni anonime, vasti riquadri di asfalto adibiti a parcheggio per l'eterno consumo avventato e la gioia autistica del capitale e delle merci, 'terrain vague' residuale dove si accumula l'algore dissipativo e detritico della "modernità", più che a vere proprie vie di comunicazione, più che ad arterie che convogliano l'ossigeno del mondo, somigliano a canali privilegiati per la diffusione di un contagio tanto pervasivo quanto oramai sfinito dalla sua stessa bulimica persistenza.
In diretta contrapposizione a tutto questo, guidati dall'istinto selvatico dei loro pochi anni, forti di sguardi aguzzi, esigue parole e pensosi silenzi - armamentario che fa del suo meglio per ovviare alle membra esili per calzoni troppo larghi e magliette bisunte - Ellis/ un più che convincente Tye Sheridan, già incisivo in "The tree of life" di Malick e "Joe" di Gordon Green e Neck (bone)/Lofland, il compagno di sempre (anche lui con la sua brava famiglia a brandelli) scelgono il fiume, il Mississippi (come già la "giovane America" di Tom Sawyer e Huck Finn nell'immaginazione picaresca di Twain) che restituisce loro il suo "limo" migliore, Mud, appunto, (Matthew McConaughey, che pare avere accantonato i ruoli di eterno fidanzato/scapolo riottoso alle lusinghe/incognite della "stabilita'" e quelli dell'avventuriero un po' romantico, un po' spaccone, per concentrarsi sulle vicissitudini di personaggi ambigui e/o tormentati), figura eponima principe dell'"individualismo americano", taciturno e solitario, bugiardo e spavaldo, non estraneo alla violenza ma ligio ad un codice personale - elusivo ma insinuante come il suo accento del Sud -: intimo della "wilderness" quanto diffidente verso le (sovra) strutture che ne mediano il rapporto. Proverbialmente braccato, nel caso per le conseguenze di un amore nato sotto una cattiva stella (Juniper/Whiterspoon) e vissuto - ma e' stato davvero un attimo - sul crinale sdrucciolevole che impasta tenerezza e crudeltà e non esclude tra i suoi effetti collaterali l'omicidio, e in temporaneo esilio su un isolotto a largo del grande fiume, da qualche parte in Arkansas...
Il percorso verso la crescita di Ellis viene ritmato da Nichols sulle tappe - spesso tristi e scoraggianti eppure sempre intrise di una qual impertinenza vitalistica, unico controvalore degno della tentazione impossibile dell'innocenza - delle sue esperienze, delle sue precoci disillusioni, in un abbecedario dell'iniziazione alla vita che assegna a Mud il compito di estensore di una "pedagogia negativa", torbida, spesso adusa alla doppiezza come strumento di sopravvivenza e antidoto alle amarezze, quanto - paradossalmente ma nemmeno tanto - nei fatti più formativa di quella somministrata ad Ellis dalla famiglia, sorta di melma (ennesimo "mud") intrisa di silenzi senza scampo, di rabbie represse, di chiusure illusorie nell'angustia di piccoli mondi interiori inclini all'autocommiserazione, di cui già l'occhio lungo di uno come Blake aveva ammonito di diffidare: "Aspettati veleno dalle acque immobili". D'altro canto, proprio l'atteggiamento ribelle ma leale di Ellis costringe Mud a riavvicinarsi a quella parte di se' adolescente - incostante ma prodiga di slanci - che una quotidianità randagia, la pratica dell'espediente e del cinismo aveva seppellita chissà dove e quasi del tutto soffocata. L'itinerario esistenziale descritto nel film diventa così, in filigrana - saziati i debiti di sangue, recisi o allentati i legami che impacciano - il riempimento di uno spartito per due voci, ognuna delle quali assorbe dall'altra timbri e sfumature preziose, fino a modulare la stessa nota, la più adatta a fare da sottofondo all'ipotesi di un altro futuro: un sorriso.
TFK
2 commenti:
Come sempre analisi puntualissima, devo dire che take shelter mi aveva impressionato molto di più, specie nella forma e nella messa in scena.
L'Arkansas di "Mud" come l'Ohio di "Take shelter": in entrambi i casi l'istantanea di un'America sola (muta, addirittura, come la bimba di Curtis/Shannon), in balia di un certo numero di fantasmi, vecchi e nuovi: la sferza della crisi economica; un progresso che più che sostenere sconcerta. E le distanze, non solo geografiche; una qual innata ritrosia... In "Mud" le crepe che affiorano smembrando i rapporti trovano sbocco (il delta del fiume, una nuova casa in città), prefigurano, forse, un domani. In "Take shelter" l'ampiezza della metafora "catastrofica" (notevole, come hai ricordato, dal punto di vista della messinscena e della resa visiva), soprattutto la sua insistenza solo attorno al proprio incombere, a mio avviso, ne stempera un po', alla lunga, l'impatto.
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