venerdì, agosto 14, 2015

68 FILM FESTIVAL DI LOCARNO - DER NACTHMAHR

Der Nacthmahr
di Achim Bornhak
con Carolyn Genzkow, Kim Gordon, Julika Jenkins
Germania, 2015
genere, drammatico
durata, 88'



La diciasettenne Tina, insieme a due amiche, sono in auto dirette a una festa in piscina. Lungo la strada scherzano con lei creando un fotomontaggio tra una sua fotografia e un feto malformato, un freak, conservato nel laboratorio di scienze della scuola. Alla festa un ragazzo mostra a Tina un filmato su youtube di un investimento di una ragazza china in mezzo a una strada. La ragazza è sempre più disgustata e si immerge in balli forsennati al ritmo di musica techno. Mentre si apparta per urinare scorge uno strano essere in mezzo al giardino nei pressi della piscina. Fugge spaventata e convince le sue amiche a tornare a casa. Vicino all'auto si accorge di aver perso una collanina e la vede in mezzo alla strada e mentre si china a recuperarla viene investita da un'auto, replicando la scena del video visto poco prima.
Questo è l'incipit di "Der Nacthmahr" (L'incubo) scritto, prodotto, montato e diretto dal giovane regista tedesco Achim Bornhak in arte Akiz e passato nel concorso Cineasti del presente al 68° Festival di Locarno: un viaggio psichedelico all'interno della mente di un'adolescente.


 Psicosi e rappresentazione dell'Es
In effetti, dopo l'investimento di Tina, lo sgomento degli amici, una ripresa in soggettiva dal basso verso l'alto, con un stacco ritorniamo a un primo piano della ragazza seduta nell'auto che si sta toccando la collana al collo. Sembra tutta un'allucinazione, un flashforward, dovuta all'abuso di alcool e alla musica assordante della festa. Un primo tema principale d'interesse all'interno della diegesi, che si sviluppa in continue diramazioni labirintiche con percorsi tronchi, circolari o à rebours, è quello della psicosi di Tina che nel procedere della narrazione inizia a sentire strani rumori provenire dalla cucina. Lei alla fine vede un essere (lo stesso soggetto del fotomontaggio nell'incipit) che emette versi gutturali e acquosi, si trascina e si muove lentamente, ha lunghe mani e occhi enormi anche se le palpebre li coprono quasi completamente. L'essere in un primo momento è visto solo da Tina e i genitori iniziano a sospettare di una psicosi, fino farla prima visitare da uno psichiatra e poi costringerla a un ricovero forzato in clinica. La creatura è una proiezione materica dell'inconscio di Tina, del suo malessere esistenziale: la vicinanza al frigo e il continuo nutrirsi del mostriciattolo è una allegoria della bulimia della ragazza, che vediamo mangiare poco e vomitare. Del resto la messa in scena della psicosi è determinata anche dalla scelta degli ambienti chiusi dove Tina è ripresa sempre sul letto della sua stanza stretta in un angolo e appoggiata al muro. Camera che è posta in alto, in una mansarda, all'interno della casa, dove Tina si muove salendo e scendendo da una scala che viene messa in quadro dando un effetto labirintico (metafora della mente della ragazza). Infine lo stato psicotico viene elaborato visivamente anche attraverso l'utilizzo di una focale grandangolare che deforma l'inquadratura, dell'utilizzo di un digitale che permette la pastosità e uniformità della luce, giocando su toni come il giallo, il bianco, il rosso, anche nelle scene notturne. Appare, quindi, una riuscita e moderna rappresentazione del malessere di Tina che si erge a sineddoche di una generazione di giovani donne alle prese con la difficoltà della crescita, il rapporto con i genitori e le loro aspettative che non ti rappresentano, le insicurezze delle relazioni sentimentali (Tina teme che il suo fidanzato la tradisca con un'amica).


Eros e thanatos all'anfetamina
Altro tema forte, che s'intreccia strettamente con il primo, è il rapporto tra sesso e morte. La "creatura" è percepita da Tina nell'incipit mentre sta urinando, una metafora del parto, una nascita dalla mente della ragazza. Ma a un certo punto, la creatura è vista e percepita anche dagli altri. Il padre tenterà di ucciderla e ferendola, ferisce anche la figlia con una chiara identificazione e simbiosi tra Tina e la sua creatura, come parte di essa, come una madre con il proprio figlio. Il legame tra paura inconscia della propria dimensione sessuale e il senso della morte è esplicitato in modo chiaro dal montaggio alternato di varie scene tra Tina e la creatura, nel frattempo catturata dalle autorità e rinchiusa in un ospedale per essere sottoposta a continui esami. Quando effettuano qualsiasi manipolazione sull'essere, nello stesso istante l'effetto è medesimo su Tina: se estraggono del sangue dal suo braccio, a Tina appare un foro nello stesso punto da cui fuoriesce il suo sangue. Certo, alla fine la giovane si maschera come una moderna guerriera, in una tipica iconografia punk, e libera la creatura portandosela con sé e mostrandola fieramente a tutti i suoi amici, in un'altra festa a bordo piscina. E l'altra interpretazione è che Tina sia stata veramente vittima dell'incidente e che sia sdraiata sul letto dell'ospedale e tutto ciò a cui abbiamo assisitito fino a quel momento è sogno (elemento corroborato da un time-lapse in soggettiva di inquadrature precedenti e non). Un altro stacco e Tina e la sua creatura sono in auto che si allontanano nella notte. Lei ha compiuto i diciotto anni, è diventata maggiorenne. La psicosi continua, da viva o da morente.

Tra rinnegamento dei generi e sinestesia indotta
Akiz ha dichiarato alla fine della visione della prima al Festival di Locarno che il film si presta a più interpretazione, che lui voleva raccontare solo una storia di una giovane donna, del malessere della gioventù berlinese, non volendo fare un horror, affermando come non sia un film di genere horror.
E' indubbio che abbiamo un rinnegamento del genere anche nella messa in scena, ma è altrettanto verosimile che il regista tedesco (tra l'altro anche scultore: la creatura è una sua opera) sia stato influenzato da una certa letteratura fantastica come "Le Horla" di Guy de Maupassant e dall'atmosfera nera dei racconti notturni e fantastici dello scrittore tedesco E.T.A. Hoffmann. Akiz ha studiato cinema tra Wurtemberg e l'USC di Los Angeles e il suo ""Der Nacthmahr" è stato influenzato da un certo cinema Lynchiano (le inquadrature dell'auto nella notte ricordano "Strade perdute" così come l'indeterminatezza della storia). Ma oltre a una messa in scena quantomeno interessante e a una sceneggiatura di fascino, quello che colpisce maggiormente è la capacità di sintesi tra la colonna sonora e immagine, tra luci stroboscopiche e musica techno a massimo volume fin dall'inizio, che fanno precipitare lo spettatore all'interno dell'incubo narrato da Akiz, inducendo una sinestesia artificiale tra percezione visiva e uditiva che fanno della visione di "Der Nacthmahr" un'esperienza psichedelica anche per lo spettatore nella sala: saltando la quarta parete si è rapiti dalla psicosi del personaggio all'interno della realtà filmica. 
Antonio Pettierre
(pubblicata su ondacinema/speciale 68 festival di Locarno)

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