giovedì, agosto 27, 2015

GHOST WORLD

Ghost world
 di Terry Zwigoff
con: Tora Birch, Scarlett Johansson, Steve Buscemi, Brad Renfro, Ileanna Douglas, Bob Balaban
Usa, 2001
genere, commedia
durata, 110'




"A change would do you good".
- S.Crow -



L'adolescenza e' per il cosiddetto mondo adulto un po' quello che democrazia e diritti umani sono per il mercato: vitali e indispensabili - sebbene problematici - punti di riferimento (materiali, filosofici, simbolici), fino a quando non si piazzano di traverso. Allora le cose si complicano, le soluzioni si allontanano e i conflitti aumentano.

"Ghost world", capitolo terzo nella personale commedia umana di Terry Zwigoff, autore di scarsa prolificità come non aduso a cantare nel coro, di traverso ci si mette subito e prepotentemente, gettando uno sguardo sull'età acerba tanto poco incline all'edulcorazione, quanto ancor meno consolatorio. Lungi sia dalle secche della trimurti goliardico-sentimental-sportiva e dal binomio degli arricchimenti prodigiosi e dei miraggi caramellati, connaturati, quasi - quelle e questo - alla teen comedy americana, sia dalla desolata patologia dell'emarginazione violenta e dell'abiezione (sviluppatasi a ridosso degli anni '90 come contraltare realistico-sociologico non di rado contrassegnato da caratteri allucinatori mirati a demolire qualunque ipotesi sul genere tempo delle mele e in un pugno di film incarnata - e, alla fine, addirittura pagata - ad esempio, da uno come Brad Renfro, qui in una sconsolata parte di contorno), l'opera va a collocarsi in una particolare terra-di-mezzo - invero poco frequentata, pensiamo, tra gl'impavidi, al M.Lehmann di "Heathers", del 1988 o al T.Solondz di "Welcome to the dollhouse" del 1995 e di "Palindromes", del 2004 - all'interno della quale sagacia e precoce disillusione, disgusto per l'ovvio e inclinazione naturale alla caricatura (da usare anche come strumento di difesa) hanno la meglio sulle tipiche ubbie connesse alla popolarità, all'ossessione di apparire, alla stessa urgenza di acquisire i rudimenti della formazione culturale (da un sistema scolastico, poi, la cui certificazione ufficiale del raggiungimento di un certo status sulla scala del sapere - a dire, nel caso, il diploma o le annesse ingiunzioni ad accollarsi rognosi corsi estivi - e' utile solo ad essere ridotta in pezzi un attimo dopo essere stata conseguita). 
 
 

Così come sarcasmo e insofferenza, solitudini improvvise e malinconie senza approdo, sanno farsi beffe comunque di consuetudini e atteggiamenti normali colti in doloroso anticipo nella loro essenza di triti e umilianti luoghi comuni nel migliore dei casi indirizzati verso l'incognita oscura del quieto vivere. Alla stessa maniera ma in controcanto, rudezza di linguaggio, una sessualità allo stesso tempo blandita e maneggiata con diffidenza, una qual apatia - ciascuno di tali modi di essere, a suo modo, leva già calibrata sull'osservazione critica dell'esistenza - scimmiottano e si sostituiscono, diversamente declinandoli, allo slancio e all'irruenza della giovinezza, con esiti a volte tragici nell'allusione, per dire, ad un definitivo ripiegamento nell'astio: in ogni caso sconcertanti per lucidità e precisione di analisi, oltreché per una capacita' d'irrisione a cui non sono estranee scaltrezza e cinismo.


Del resto, coerenza vuole che un giudizio riferito ai propri pari età oscillante tra antipodi apparenti come "semideficienti" e "ritardati", pronunciato da due esemplari dell'altra meta' del cielo sodali da sempre, in un contesto suburbano difficile dire se semplicemente iperrealista o depresso senza remissione (il mondo fantasma e' da intendersi in primis come corrispettivo fisico di un paesaggio che sembra aver barattato in via non revocabile la trasformazione ragionata dei suoi agglomerati con il declino a cromie brillanti della post-modernità) preveda un certo numero di difficoltà psicologiche e pratiche, di disagi, di frustrazioni, una volta che, per un motivo o per l'altro, la decisione e' quella di tenervi fede ribadendolo. Proprio la collisione, infatti, con un altro possibile aspetto del citato mondo fantasma, ossia quello dei rapporti falsi e superficiali (in specie quelli dei grandi ma non solo: il tenore generale e' tarato sul metro per cui tutti usano tutti), di quelli episodici o interessati, di quelli apertamente brutali o sottilmente prevaricatori, a compilare una mappa fallimentare delle relazioni umane - straziante, grottesca, come che sia di fatto percorsa da linee che tendono a circoscrivere il sospetto di una ineliminabile inettitudine di fondo - irrigidisce e sconcerta vieppiù le prese di posizione di Enid/Birch e Rebecca/Johansson, liceali s'è detto argute, fuori posto in un mondo perlopiu' - e di gusto - ottuso, latrici peraltro di un proprio modo di porsi in esplicito attrito con lo stereotipo muliebre dominante mai disposto a spingersi troppo oltre il tipo cheerleader, da un lato e quello modella in erba, dall'altro, a cui, quasi d'incontro, si potrebbe dire, si risponde a colpi di caschetto nero, occhiali a montatura variabile, mise ricercatamente arzigogolate e anfibi per Enid (una Birch paffuta, dalla carnagione simil lattea e gli occhi vispissimi); chioma castana, pullover sottile girocollo su shorts dal taglio maschile e mocassini di foggia robusta per Rebecca (la futura stella Johansson, qui guardinga, quasi goffa ma sempre come sul punto d'imporre finalmente un'esuberanza da troppo inibita causa circostanze avvilenti), a testimonianza, rafforzando anche da fuori l'anomalia intrigante di una narrazione inusuale, di un erotismo genuino, svagato, un tanto bislacco, nondimeno feroce, di sicuro non cool (neanche a dirlo ben presto scalzato, almeno lungo le traiettorie della carriera della Johansson, da un più opportuno divismo studiato a tavolino, accomodante tanto verso le blande esigenze del palato medio, quanto verso quelle più ferree e subdole del glamour da copertina e della pubblicità), che Zwigoff dosa in una mistura ancora in grado di giocare sia sull'allusione finto ingenua, sia su una provocazione esplicita e diveritita perché a riparo da controprove imminenti indesiderate o imbarazzanti.


Assieme all'ironia pungente e a sprazzi di comodo fatalismo, questa sorta di flusso vitale represso, un po' contorto e incontrollato - intriso certo di candore, di malizia opportunista, eppure alimentato da una spinta in direzione opposta a ciò che si presume (o ci si e' piegati a considerare) inamovibile: una curiosità autentica, quindi (Enid-lingua-lunga si fa cacciare da un lavoro ma tenta, benché le venga poi scippata, la via di una borsa di studio; Rebecca comincia a guadagnare per metter su casa) - percorre in sotterranea le vicende delle due ragazze (le quali, in genere, di romantico o mirifico hanno ben poco, dipanandosi nelle pieghe di un tran tran cristallizzato dal gelo dei suoi poli attrattivi di consumo - diner, centri commerciali, simulazioni di "tipiche tavole calde anni '50" - e tra le ansie contraddittorie e le irresolutezze di tipi umani sempre ad un passo dal crollo nervoso o dall'accasciarsi in una stranita rassegnazione - estremi non lontani dal mood interiore di certi personaggi di George Saunders -), arrivando, alla lunga, a preservarne l'identità dall'appiccicume del quotidiano nella forma di una marginalità matura perché accettata infine come contributo personale alla riduzione della conflittualità. Lo stesso rapporto dispari di Enid con Seymour (un affranto e querulo Buscemi ad emblema di un giovane vecchio patetico e insoddisfatto, collezionista di rari 78 giri - uno dei quali, tra l'altro, "Devil got my woman", 1931, di Skip James, diventa un delizioso tormento per Enid - a cui pero' non sfugge il bandolo della propria condizione: "Non sei in grado di avere nessun tipo di rapporto e allora ti riempi la vita di questo", le dice, durante una noiosa serata tra cultori di vecchi dischi, alludendo alla comune mania catalogatrice) vive e prolifera solo in virtù dello squilibrio che la petulanza, l'obliqua malia e il corrosivo brio negativo della teenager inocula nelle fibre spossate di un arreso uomo-massa, restituendogli persino la forza di osare ciò che fino a quel momento egli aveva relegato nell'inconcepibile: frequentare una coetanea.

 
E' così che Zwigoff - in collaborazione con Daniel Clowes, co-sceneggiatore e autore del comic book dal quale il film prende le mosse - riesce, con avvertita naturalezza e senza concedere alla sue protagoniste facili scappatoie ma modulando accorte variazioni sul registro delle emozioni di base (stupore, delusione, rabbia, aspettazione, et.), la' dove molti altri tentativi si arenano nelle agnizioni gratuite o nelle catastrofi sbrigative: rendere motivatamente seducente una visione pessimista (e dall'epilogo incerto) della realtà, delle prospettive personali, del proprio posto in un mondo butterato che nemmeno somiglia più ai colori (pieni) e agli umori (aspri) di un romanzo disegnato intelligente e triste.
TFK

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