Acqua di Marzo
di Ciro De Caro
con Roberto Caccioppoli, Rossella D'Andrea, Claudia Vismara
Italia, 2017
genere, commedia
durata, 100'
Ci sono film di nicchia che diventano tali non perché non abbiano le caratteristiche per conquistare le grandi platee ma in ragione di cause che riguardano la possibilità di promuovere il prodotto e di piazzarlo nella sale con un adeguato numero di copie. Ne sa qualcosa Ciro De Caro che per il suo film d’esordio, “Spaghetti Story”, realizzato con mezzi di fortuna e con un budget inesistente (5 mila euro) è riuscito - grazie a una strategia distributiva diventata in seguito un modello da seguire - nell’impresa di sopravvivere all’oblio cui sono destinati quei film che nel corso della prima settimana di programmazione non riescono a realizzare introiti sufficienti a giustificarne la permanenza in sala. Dopo circa quattro anni dall’uscita del primo film “Acqua di Marzo” conferma quanto di buono si era detto a proposito del regista romano, il quale, per la sua opera seconda si affida ancora una volta alla commedia, declinata secondo lo stile semplice ma sostanzioso che sembra essere uno dei marchi di fabbrica della sua cinematografia. Al centro della scena di “Acqua di Marzo” troviamo tre personaggi - un ragazzo e due ragazze - che, neanche a farlo apposta sembrano parenti stretti di quelli che avevamo conosciuto in “Spaghetti Story”, se non fosse che il fatto di essere un poco più adulti dei loro predecessori basta e avanza per fare della vita uno scenario diverso da quello ludico e speranzoso che ci si aspetterebbe quando l’età consente ancora di andare a spasso con la gioventù. Se a fare da motivo trainante in “Acqua di Marzo” è il triangolo sentimentale che si forma quando Libero (l’ottimo Roberto Caccioppoli), in trasferta a Battipaglia per fare visita la nonna morente, si imbatte nell’ex compagna di banco (la brava Rossella D’Andrea ) separata e con figlia a carico, in realtà il film mette in scena una serie di crisi esistenziali che intercettano le problematiche di una generazione alle prese con le difficoltà del precariato lavorativo e con il problema di conciliare il pragmatismo della ragione alla fede dei sentimenti.
Come già era successo in “Spaghetti Story”, il regista fa di necessità virtù, articolando il suo dispositivo in modo che la semplicità della forma cinematografica - fatta in prevalenza di piani sequenza a camera fissa e con la telecamera concentrata sul corpo degli attori - non sia un modo per supplire alla mancanza di mezzi ma la conseguenza di una scelta volta a incidere sul senso della storia. In questo modo anche il montaggio sconnesso e la frammentazione derivante dalla continuità tra sequenze relative a due diversi piani spazio temporali (uno ambientato a Roma, con protagonisti Libero e la sua ragazza, l’altro ubicato a Battipaglia, in cui il protagonista si relaziona con l’altra donna e con i propri famigliari) non sono espedienti fini a se stessi, ma il modo di rappresentare attraverso le immagini la confusione e le ansie di Libero e degli altri ragazzi. Non contento dell’empatia suscitata dall’umanità di personaggi ai quali, nessuno escluso, non si può non volere bene, e della presa drammaturgica assicurata dalla perfetta commistione tra dramma e commedia (caratteristica, questa, che pone De Caro sulla scia del Virzì de “La pazza gioia”) il regista stimola il coinvolgimento del pubblico nascondendo fino all’ultimo le reali intenzione dei protagonisti, divisi tra la volontà di rimanere fedele ai propri principi e il desiderio di infrangerli le regole per iniziare una nuova vita. Distribuito sul territorio nazionale in un numero limitato di copie “Acqua di Marzo” è un film d’autore con la a maiuscola.
(pubblicato su Taxidrivers.it)
Nessun commento:
Posta un commento