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Bionda atomica
di David Leitch
con Charlize Theron, James MacAvoy
USA, 2017
genere, avventura, azione, drammatico
durata, 115’
C'è chi il cinema lo impara dietro la macchina da presa, assistendo il regista di turno, oppure davanti, interpretando i personaggi dei loro film. Poi come al solito esistono le eccezioni che confermano la regola. A queste appartiene la storia del regista di "Atomic Blonde", promosso sul campo per i meriti acquisiti con "John Wick" e in procinto di continuare la scalata al successo con la regia del prossimo "Deadpool". Ma ritorniamo al punto, e cerchiamo di capire cosa centra questo discorso con il film interpretato da Charlize Theron. Se andate su IMDB e visitate il profilo di David Leitch vi accorgerete che a fronte di un esiguo numero di regie (2 con quella di oggi, 3 se contate anche il film della Marvel) e d'interpretazioni (19) ce ne sono ben 89 come stuntmen di alcuni dei più importanti blockbuster contemporanei tra cui "X-Men" e "The Bourne Legacy". La statistica è tutto fuorché superflua perché ci permette di capire almeno una cosa fondamentale di "Atomica bionda", e cioè quale sia l'origine estetica del cinema di Leitch, e quindi la ragione per cui il corpo della Theron venga filmato in modo da apprezzarne la potenza della performance fisica, esaltata da un tipo di riprese (long take) in cui la telecamera si sofferma senza stacchi sulle acrobazie e i contorcimenti a cui esso è sottoposto. In questo senso "Atomica bionda" è fondato su una verosimiglianza introvabile in prodotti dello stesso genere e per esempio nei film della Jolie ("Tom Raider", "Salt"), montati ad arte per regalare all'attrice quel dinamismo di cui in realtà non c'è traccia nei singoli fotogrammi, come pure, non c'è ne voglia l'affascinante Gail Godot, nel celebrato Wonder Woman di Patty Jenkins.
Ambientato nella Berlino degli anni 80, quella che si preparava a essere sconvolta dalla caduta del muro, "Atomica bionda" racconta di Lorraine Broughton, spia del M16, inviata in loco per aiutare il collega David Percival (il sempre più cattivo James McAvoy) a sgominare l'organizzazione che ha ucciso un'agente sotto copertura. Se la ricostruzione d'ambiente è una "scocciatura" che Leitch risolve da par suo, ricreando quegli anni attraverso la sofisticata compilation di hit dell'epoca chiamati a dare ritmo all'indagini della "bionda", le attenzioni del regista sono tutte per la "sua" attrice, alla quale il nostro non riserva solamente scene d'azione, con le specialità della casa - i combattimenti corpo a corpo - a dare lustro alle sue capacità atletiche in alternativa a primi piani che consentono di apprezzarne una bellezza incapace di retrocedere anche quando si tratta di recitare con il volto tumefatto dai colpi ricevuti. Accade infatti che Leitch, tra uno scontro e l'altro, riesca anche ad abbozzare uno straccio di introspezione psicologica della sua protagonista, concedendole un minimo di distrazione, che la Bionda consuma tra le braccia dell'altra amazzone Sophia Boutella, a segnalare come anche nel cinema mainstream - dopo quello d'autore nella varie sezioni del festival di Locarno - l'amore saffico faccia tendenza
Carlo Cerofolini
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