Il presidènte
di Santiago Mitre.
con Riccardo Darin
genere, drammatico
durata, 114'
L’ultimo film di Santiago Mitre, “Il presidente” è stato presentato in concorso nella categoria “Un certain regard” al Festival di Cannes 2017. Come ci suggerisce il titolo, il protagonista dell’opera è un presidente, quello dell’Argentina. Hernàn Blanco, impersonato dal molto efficace Ricardo Darin, partecipa a un vertice dei Capi di Stato latino americani, durante il quale appare molto concentrato perché deve far fronte a una doppia problematica, da una parte legata alla sfera privata, dall’altra legata alla sfera pubblica e alle decisioni che deve compiere e prendere per il proprio Stato.
L’elemento importante e interessante del lungometraggio è la scelta, da parte del regista, di mostrare l’essere umano dietro la maschera del politico. Quello che lo spettatore vede non è sempre e soltanto il presidente argentino, ma Hernàn Blanco, con i suoi problemi, i suoi dubbi e le sue vicissitudini. Rappresentativo di ciò è il rapporto con la figlia che appare quasi come la coprotagonista del film e con la quale ha un legame molto forte, ma allo stesso tempo “ambiguo”, dovuto soprattutto all’ex genero. Teme, infatti, che questi possa far scoppiare uno scandalo su finanziamenti occulti.
Accanto alla visione di “padre” c’è anche, ovviamente, quella di presidente, eletto in qualità di rappresentante dell’uomo “comune”, ma così comune da apparire quasi come invisibile nei confronti dei suoi avversari politici che pensano di poterlo manovrare a loro piacimento, specialmente in occasione del vertice. Se da una parte, quindi, l’essere un uomo comune ha fatto sì che Blanco potesse ricoprire una carica politica di tale portata, dall’altra parte questo fattore non lo ha aiutato e non lo aiuta nei rapporti con gli altri, che lo vedono in maniera diversa da quella che lui vorrebbe, nonostante, grazie alla versatilità di Darin, il personaggio riesca a rivelare un’aura di mistero anche soltanto attraverso lo sguardo.
“Il presidente” si può considerare un thriller, che, con l’arrivo sulla scena di Marina, la figlia di Blanco, si trasforma e prende la piega di un thriller psicologico, nel quale, accanto alle indagini e alle interviste politiche, il protagonista deve affrontare e subire, seppur non direttamente, dei controlli, delle visite e delle terapie grazie alle quali lo spettatore può tentare di conoscerlo meglio e capire più a fondo quello che è il suo stato d’animo, quelle che sono le sue intenzioni e il suo modo di vedere il mondo.
Ultimo elemento da non sottovalutare è quello paesaggistico. Nonostante il regista non perda mai di vista il suo obiettivo principale (il protagonista e il suo percorso), il pubblico si trova di fronte alla spettacolarità offerta dalle Ande e dalla Cordillera (il titolo originale dell'opera) che, in un certo qual modo, sembrano evocare quelle che sono le dinamiche all’interno delle quali si trova costretto a vivere Hernàn Blanco. Sia dal punto di vista politico che familiare e affettivo, il paesaggio bianco e freddo che vediamo accompagnarlo per tutta la durata della vicenda sembra proprio la perfetta rappresentazione del percorso del presidente.
Vèronica Ranocchi
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