Il vizio della speranza
di Edoardo De Angelis
con Pina Turco, Massimiliano Rossi, Marina Confalone
Italia, 2018
genere, drammatico
durata, 90’
Maria ha un cane e una vita travagliata. Ripescata in mare come un rifiuto, è cresciuta segnata da un abuso sessuale che le ha scalfito il volto e privato il ventre della capacità di generare. Figlia di una madre alienata e braccio destro di una protettrice tossicomane, Maria traghetta povere anime sul Volturno, prostitute nigeriane che affittano l'utero per sopravvivere e ingrassare la loro miserabile padrona. Un giorno la fuga di Fatima, che vuole tenere per sé il suo bambino, e la scoperta di una gravidanza inattesa, scuotono Maria dal profondo.
A Castel Volturno non ci sono più i nomi delle vie. Le targhe sono state cancellate, le strade dissestate, le case sventrate. In questa stazione balneare fantasma, a nord di Napoli, da troppo tempo nessuno raccoglie più la spazzatura, la posta è chiusa, la scuola, la chiesa e il commissariato pure.
A Castel Volturno non c'è più il diritto, non c'è lo Stato. La metà degli abitanti sono clandestini africani che occupano stabilimenti degradati in cui prospera, col traffico di cocaina e la prostituzione, una nuova schiavitù: la maternità surrogata. Una gestazione per altri che mutua le donne in contenitori, privandole della dignità, della libertà, della maternità.
In questo luogo moribondo, bagnato dal Volturno e infestato da orrore ordinario, Edoardo De Angelis pianta come un fiore la speranza. Al cuore di un décor crudo e dentro giorni che si avvicendano e si assomigliano, c'è Maria, colpevole, complice, vittima. Infinitamente sola, Maria è una marginale, sociale ed esistenziale, che non persegue nessuno progetto di felicità fino al giorno in cui trova nella fuga di una ragazza più disgraziata di lei e nell'incontro con un giostraio l'occasione e l'opportunità di osservare le cose della vita da un angolo diverso. La prospettiva dell'umanità.
Maria si scopre improvvisamente incinta e sente crescere col ventre il bisogno di essere migliore, di cercare una forma di moralità. Con pudore e discrezione, De Angelis fruga sul volto della sua protagonista, che ha la solidità terrena di Pina Turco e porta a galla la sua anima senza bisogno di ricorrere a colpi di scena, a sentimenti divoranti, a trucchi drammaturgici sfacciati.
Tutto nel film si ripete, come in un giro di giostra, i viaggi, i silenzi, le attese, le angosce, i dialoghi. Non si va mai da nessuna parte ne “Il vizio della speranza”. Si gira a vuoto, scivolando lungo un fiume che sembra essere la cifra stilistica dell'autore e alzare la portata del suo cinema. Un cinema che scorre tra il Volturno (“Indivisibili”, “Il vizio della speranza”), rapido, profondo e torbido e il Sebeto (“Perez”), nascosto, indisturbato, ingoiato dalle viscere.
Non è un film perfetto, ostinato a sancire come miracolo il mistero della vita. L'epilogo e la chiosa in fondo ai titoli di coda esagerano il concepimento prodigioso di Maria e risultano forzatamente solenni rispetto alle premesse: come se il soggetto imponesse la ridondanza, come se nello sguardo di Maria non ci fosse già tutto il senso del sacro, l'interrogazione e l'umiltà, l'attesa e la disponibilità. La sua ambiguità accentua da sola il carattere potenzialmente spirituale del personaggio senza bisogno di ridursi a riti esteriori.
L'essenziale non passa per la parola ma per le immagini, che De Angelis bagna di una luce crepuscolare, una penombra fisica e morale che domina il film. Un mondo tra ombra e luce, tra Gaeta e Napoli, indistinto e ritirato in se stesso. Spicchio di America partenopea e utopistica riviera rovesciata in ghetto per gli espulsi della metropoli napoletana, il litorale domizio, già battuto in “Indivisibili”, diventa uno degli elementi essenziali dell'universo figurativo di De Angelis. Una geografia ideale che coglie i cambiamenti più significativi del paesaggio antropologico italiano, sotto un cielo basso e la partitura africana di Enzo Avitabile, che canta l'integrazione e la solidarietà per gli oppressi.
Riccardo Supino
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