Butterfly
di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman
con Irma Testa, Lucio Zurlo
Italia, 2018
genere, drammatico
durata, 80'
Chissà se qualche spettatore si ricorda di "Girlfight" (2000), il film di Karym Kusama che ha lanciato nel firmamento cinematografico l'allora esordiente Michelle Rodriguez. Nella storia l'attrice americana è Diana Guzman, diciottenne inquieta e irascibile che trova nel pugilato la maniera di riscattarsi da una vita segnata da fallimenti e povertà. Pur prodotto in un regime di semi indipendenza "Girlfight" è nel bene e nel male il tipico lungometraggio targato Sundance, (festival dove peraltro ha ricevuto il premio della giuria) per il fatto di oscillare tra una capacità di arrangiarsi fuori dal comune e la voglia di fare il grande salto (come poi è successo a Kusama e soprattutto alla Rodriguez) che in qualche modo tradisce gli ideali di partenza con ammiccamenti e scorciatoie tipiche dell'industria hollywoodiana. Di molte analogie, ma di tutt'altra pasta rispetto al titolo in questione, è fatto "Butterfly", opera seconda di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman incentrata sulla figura di Irma Testa, campionessa di boxe passata alla storia per essere stata la prima donna del suo sport a partecipare ai giochi Olimpici (Rio, 2016). E questo è tanto più vero quanto il fatto che entrambi le vicende partono da caratteristiche socio-ambientali, anagrafiche e sportive pressoché identiche: a parte la coincidenza dell'età, che però è decisiva nel determinare la gerarchia degli elementi che occupano lo spazio dell'inquadratura, a completare la simmetria è soprattutto il significato che lo sport assume nelle vite delle protagoniste, considerato che per ambedue la voglia di allenarsi e di competere nasce anche dal bisogno di emanciparsi da condizioni problematiche (famigliari, lavorative) a cui né Torre Annunziata, dov'è nata la Testa, né Brooklyn, dove si immagina sia cresciuta il personaggio della Rodriguez possono offrire via di salvezza.
Sono però le differenze dei rispettivi dispositivi a siglare la scarto tra uno e l'altro, a cominciare dall'incidenza della forma sulla verosimiglianza di ciò che vediamo: pur nell'ambito di modelli che fanno dell'aderenza al reale il loro punto di forza, la versione scelta da Cassigoli e Kauffman anziché limitarsi a seguire un percorso sportivo ed esistenziale, nella maniera più classica del cinema documentario, e quindi a ripercorrere la biografia della protagonista accostando le interviste alle immagini di repertorio, organizzano un canovaccio narrativo in cui la realtà viene modificata quel tanto che basta per far sì che Irma vi entri con le caratteristiche che appartengono sia a lei stessa che al "suo" personaggio. Equilibrando spontaneità e improvvisazione e avendo come obiettivo quello di far convivere elementi di segno opposto (verità e finzione) "Butterfly" ripercorre le tappe di un romanzo di formazione nel quale i dolori della giovane Irma (non diremo quali, per non togliere nulla alla sorpresa di scoprirlo da soli) prefigurano un percorso di cadute e di risalite che è paradigmatico di certo cinema sportivo di matrice americana (pensiamo al "Rocky " di John G. Avildsen).
Con la differenza che il film italiano, confrontandosi con i topoi propri del genere, e per esempio con quello che fa del ring una metafora della vita, riesce a tenersi lontano dalla retorica e dall'enfasi dei prototipi più celebrati. I sacrifici e il rigore con cui Irma porta avanti la sua missione, così come l'impegno nel mantenere unità ciò che resta della nucleo famigliare, diventano allora il principio regolatore dello sguardo con cui Cassigoli e Kauffman vi si rivolgono. Sullo sfondo di un paesaggio umano distante dalla teatralità da presepe napoletano, a cui potevano dare vita le incursioni sulle strade e nella palestra che hanno visto germogliare il talento della protagonista, "Butterfly" non si dimentica di fare politica e di denunciare lo stato delle cose, ma lo fa senza proclami e sempre come conseguenza di qualcos'altro, regalandoci l'opportunità di farci conoscere la purezza di due anime come quelle di Irma e dl Lucio, allenatore e maestro di vita settantottenne (una specie di Don Milani laico), da cui, come spettatori, si fatica a prendere congedo. Il fatto poi di dare spazio alla protagonista invece che limitarsi ad ascoltarla produce un'energia che induce a non arrendersi e funziona come antidoto alla cupezza del presente. In concorso ad Alice nella città - sezione autonoma della Festa del cinema di Roma, "Butterfly" è un capolavoro d'umanità. Meglio di così il cinema italiano non poteva iniziare.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it)
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