Nope
di Jordan Peele
con Daniel Kaluuya, Keke
Palmer, Steven Yeun
USA, 2022
genere: horror,
fantascienza, thriller
durata: 130’
Forse sarebbe un errore
definire “Nope” un horror a tutto tondo. Il lungometraggio realizzato da Jordan
Peele è tante cose, non solo un horror. Regista legato al genere, ma comunque
autore che cerca di raccontare anche altro oltre alla semplice storia. E non è
scontato, anzi.
“Nope” inizia mostrando
un avvenimento passato, precisamente del 1998. Siamo sul set di una sitcom
(“Gordy’s Home”) e la scimmia protagonista, a seguito dell’esplosione
improvvisa di un palloncino, ha una reazione violenta nei confronti degli
attori presenti che attacca, ferendoli mortalmente. Il più piccolo, il
giovanissimo Jupe, si nasconde sotto un tavolo e sta per riappacificarsi con
l’animale quando le autorità fanno fuori la scimmia senza esitazioni.
Nel presente OJ e Em sono
i due figli del proprietario di un ranch che addestra cavalli per produzioni
cinematografiche, ma che rimane ferito mortalmente da una moneta caduta dal
cielo che lo colpisce alla testa e all’occhio. I due cercano di fare il
possibile per mantenere viva l’attività del padre, ma, a seguito di un incidente
con un cavallo, vengono licenziati. Em sembra intenzionata ad andarsene per
cercare fama e fortuna altrove, ma la notte prima il ranch viene colpito da un
blackout e i cavalli iniziano a comportarsi in maniera anomala in reazione a
una presenza sconosciuta.
Da quel momento tutto
sembra cambiare per i due protagonisti che si intestardiscono nel voler, in
tutti i modi, immortalare la “creatura aliena” a dimostrazione della sua
esistenza.
Una sorta di fanta-horror
è quello che Peele mette in piedi. Con maestria.
In due ore di film riesce
a condensare generi, tematiche e riferimenti degni di uno dei più grandi
cineasti.
Perché guardando il film
da una prospettiva semplice e semplicistica si può apprezzare la scelta di aver
fuso insieme, in modo convincente, horror, fantascienza e western, con tutti i
pezzi del puzzle che combaciano tra loro. Ma con un’analisi più approfondita si
scopre, in realtà, che c’è molto di più. Un universo di metacinema dove niente
è lasciato al caso e tutto contribuisce a raccontare e diffondere la favola che
è la settima arte. Da Em, imbonitrice quasi per caso, che racconta la presunta
parentela di lei e del fratello con il fantino senza nome immortalato nella
serie di fotografie “Sallie Gardner at a Gallop” di Eadweard Muybridge al
direttore della fotografia che accetta di seguirli e di documentare la presenza
con una macchina da presa manuale di sua invenzione. E sempre rimanendo sul suo
personaggio, esso rappresenta, in qualche modo, anche un’umanità e una
contemporaneità mai appagata, ma anzi che continua a cercare la perfezione o
comunque la svolta in qualsiasi cosa. Il suo tentativo di immortalare la
creatura aliena diventa metafora della realtà odierna, nella quale la ricerca
nei confronti della versione più nuova, più bella e migliore è l’obiettivo
principale.
Dal canto loro, anche OJ
ed Em cercano di fare il possibile per dare un volto alla creatura e, per
farlo, hanno bisogno di immortalarla, di fermare il suo aspetto e i suoi
movimenti su qualcosa anche e soprattutto per far sì che sia qualcosa di
credibile nei confronti degli altri. Il dover dimostrare sempre qualcosa e il
dover far ricorso continuamente a prove concrete e tangibili è un aspetto
caratteristico della realtà di oggi e che viene illustrato sapientemente da Peele
nel suo lungometraggio.
Oltre a tutto questo non
si può non citare la creazione del campo elettromagnetico da parte dei due
fratelli che sembrano ricreare, indirettamente, la realizzazione di un vero e
proprio film.
Accanto a un Daniel
Kaluuya, ormai attore fondamentale per Peele, utilizzato quasi come una musa,
che riesce sempre a rendere il mistero e la preoccupazione dei suoi personaggi
coinvolti in situazioni al limite del reale, c’è sicuramente una Keke Palmer
degna di nota che, non solo porta “burrasca” nella storia e nell’apparente
quiete di OJ, ma dà anche un importante contributo nel portare avanti la
ricerca.
Ai due protagonisti neri
(elemento fondamentale nella filmografia del regista), Peele sceglie di
accostare personaggi minori che, nonostante la minore apparizione e rilevanza
ai fini della storia, riescono a dire la loro, come Brandon Perea e Steven
Yeun. È davvero arrivata una sorta di svolta per l’horror con questo regista?
Veronica Ranocchi
2 commenti:
Unire insieme nel film in modo convincente, horror, fantascienza e western è stata una scelta azzeccata.
@Tizyana sono d'accordo! Inizialmente può sembrare "sbagliato" per chi si aspettava un horror e basta, ma in realtà, così facendo, convince ancora di più! -Veronica
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