Master Gardener
di Paul Schrader
con Joel Edgerton, Sigourney
Weaver, Quintessa Swindell
USA, 2022
genere: drammatico
durata: 111’
La presenza di Paul
Schrader alla Mostra del Cinema in termini di risultati riscossi rimane per
certi versi incomprensibile. E questo non perché il cineasta statunitense non
abbia meritato di figurarvi, bensì il contrario, poiché rispetto alla bellezza
dei suoi ultimi lungometraggi il responso delle giurie e di parte degli addetti
ai lavori non è mai stato all’altezza del loro valore. Stessa sorte è toccata a
"Master Gardener", piazzato fuori concorso in ragione (forse) del
conflitto di interessi che si sarebbe generato con la consegna del Leone d’Oro
alla carriera di cui il regista americano è stato giustamente insignito. Un
premio, questo, che, va detto, legittima la lungimiranza del direttore Alberto
Barbera nel rilanciare il cinema del regista quando nessuno era più disposto a
farlo a causa delle sfortune produttive sofferte con "Il nemico
invisibile" e "Cane mangia cane".
Fatto sta che dopo
"First Reformed" e "Il collezionista di carte",
"Master Gardener" conferma la ritrovata ispirazione dell’autore,
sempre più impegnato a dare corso agli estri di una nuova giovinezza capace di
arricchirne la filmografia. Ed è proprio al complesso delle sue opere che
bisogna guardare per capire fino in fondo la portata del nuovo lavoro. Pur
reggendosi in piedi da solo, "Master Gardener" è la risultante di un
processo creativo che parte dalle medesime radici per rinnovare ogni volta la
sua proposta poetica e formale. Basterebbe prenderne in considerazione la
trama, ancora una volta incentrata su un uomo costretto a ritornare sui propri
passi per difendere la persona amata a innescare coincidenze e similitudini. La
presenza di un personaggio come Marvel Roth, maestro di giardinaggio recluso
alla vita a causa di un passato da dimenticare e costretto suo malgrado a
tornare in azione per proteggere l’allieva dalle grinfie degli spacciatori, non
può non far pensare alla sceneggiatura di "Taxi Driver" (1976) di cui
Schrader fu autore insieme al sodale Martin Scorsese. Ma non basta, perché
andando avanti di qualche anno nella lettura della filmografia scopriremmo che
il rapporto fra Marvel e Mrs. Haverhill, la proprietaria dei giardini di cui cui
l’uomo è responsabile, trova in quello tra Willem Defoe e Susan Sarandon in
"The Light Sleeper" ("Lo spacciatore", 1992) un precedente
professionale e sentimentale replicato anche nel recente "The Card
Counter", laddove ancora una volta la complicità tra William Tell e La
Linda e il successivo innamoramento sono preceduti e in qualche modo mimati
dalla relazione iper professionale tra impiegato e datore di lavoro.
Come tutti i personaggi
creati dal regista americano anche Marvel Roth non è esente da colpe e dal
rimorso che ne deriva. Come succedeva al prete di “First Reformed” e al
giocatore di carte interpretato da Oscar Isaac, per non dire del già citato
Defoe, la scelta di una vita di penitenza e reclusione - scandita da una feroce
applicazione fatta di attività pratiche - trova nella tenuta di un diario
personale la propria cifra etica, nel costante impegno a non smarrire la retta
via. Da qui il senso della voce off, la cui presenza è stata in passato
criticata senza capirne la necessità, svolgendo quest’ultima la funzione di una
sorta di preghiera laica cui anche Marvel - in quanto “nuovo credente” - si
appella per non tornare a sbagliare. Come pure, in ottica più prosaica, trova
spiegazione l’ossessivo ricorso a inquadrature che dall’universale scendono al
particolare rivolgendosi a dettagli di cose, oggetti e movimenti delle mani
apparentemente superflui e che invece sono la spia del costante ricorso a una liturgia di azioni ricorrenti (qui
legate alle operazioni di semina e potatura, altrove alla legge dei numeri e
del conteggio delle carte); uno zen salvifico, anch’esso onnipresente insieme a
una pulizia visiva di matrice orientale che caratterizza gli ultimi lavori di
Schrader.
Ma "Master
Gardener" non è solo una riformulazione di antichi stilemi in chiave
moderna, perché la circolarità di cui si parla è accompagnata da una
sostanziale progressione narrativa e poetica, ancorché nel corso della storia
l’iniziale amore tra Marvel e Mrs. Harvill viene sostituito da quello dell’uomo
nei confronti della giovane allieva (interpretata dall’affasciante Quintessa
Swindell), e dunque dalla ricomposizione di una tipologia di coppia, quella tra
Travis e Iris in “Taxi driver”, cui oggi finalmente anche un rispettoso
calvinista come Schrader può guardare senza avvisarne lo scandalo;
quest’ultimo, tolto di mezzo dalla volontà (dichiarata) del protagonista di
vivere come marito e moglie accanto all’abitazione della ex amante.
Che poi Paul Schrader sia
anche un grande regista della messinscena lo si evince dal rigore della
composizione in cui più che i movimenti di macchina, a comunicare lo stato
d’animo dei personaggi è la fusione tra il controllo dell’immagine, essenziale
e stilizzata, e la figura umana, capace di riscaldare il quadro anche solo con
la sua entrata in campo. E che dire del connubio tra la musica elettronica e la
voce fuori campo, con la prima utilizzata in chiave emotiva nell’intento di
dare conto dei moti dell’anima del protagonista, come pure a far avanzare la
narrazione. Così succede sempre nel cinema di Schrader, che senza essere
sentimentale è capace di generare emozioni vere, di quelle che si fatica a
ritrovare nel cinema contemporaneo.
Carlo Cerofolini
(recensione pubblicata su ondacinema.it)