Mother’s instinct
di Benoît Delhomme
con Anne Hathaway, Jessica
Chastain, Anders Danielsen Lie
USA, 2024
genere: thriller
durata: 94’
Due grandi nomi e due
grandi attrici. Da una parte Anne Hathaway, la glaciale Celine; dall’altra
Jessica Chastain, l’attenta sognatrice Alice. Insieme per “Mother’s Instinct”,
diretto da Benoît Delhomme, film che è remake dell’omonimo di Olivier
Masset-Depasse del 2018, entrambi tratti dal romanzo “Oltre la siepe” di
Barbara Abel.
Al centro due donne,
forti e deboli allo stesso tempo. Due donne, due vicine di casa, due amiche e
soprattutto due madri. Se l’inizio idilliaco in un’America anni ’60 sembra
presentarci una storia dai colori pastello, impronta importante del film, con
l’andare avanti della storia capiamo che questa palette di colori altro non è
che una maschera opaca che cerca di ovattare colori ben più vividi, densi e
scuri.
Celine e Alice, due
amiche e vicine di casa, sono entrambe madri di due bambini di 9 anni. Max è il
figlio di Celine, alla quale lei si dedica anima e corpo, Theo è il figlio di
Alice continuamente sorvegliato e tenuto sotto controllo a causa di una forte
allergia alimentare che potrebbe causargli danni irreversibili. Se Celine
sembra a suo agio e soddisfatta della propria vita, con un marito al suo fianco
che non le fa mancare nulla, ma che la vincola ai lavori di casa e a occuparsi
del figlio la stessa cosa non si può dire di Alice che, nella stessa situazione
di Celine, appare insoddisfatta della propria quotidianità ed è costantemente
alla ricerca di un diversivo, di qualcosa che possa rompere e interrompere la
sua routine, scandita inesorabilmente dalle stesse azioni. L’equilibrio
perfetto delle (e tra le) due famiglie si interrompe, però, bruscamente con il
terribile incidente accorso al piccolo Max che, a casa con la febbre,
sporgendosi dal balcone, cade e perde la vita sotto gli occhi di Alice che non
riesce ad arrivare in tempo per salvarlo. Da quel momento i personaggi
subiscono un cambiamento radicale che li trasforma completamente, Celine su
tutti.
E proprio da questo
incidente viene messo ancora più in evidenza e al centro della scena il
rapporto antitetico tra le due protagoniste. Quell’amicizia tanto decantata
all’inizio, che porta Alice a recarsi di nascosto in casa dell’amica per
organizzarle una festa a sorpresa (azione descritta in maniera, però, molto
sospettosa e “pericolosa”), si trasforma in un rapporto continuamente in
bilico.
“Ho imparato a
separare il dolore dalla colpa” confessa Alice in un momento di riappacificazione
con l’amica che, dopo il lutto subito, la allontana, quasi come se la ritenesse
responsabile di quanto avvenuto. In realtà è una frase emblematica che descrive
entrambe allo stesso modo e che, per motivazioni diverse, le inquadra perfettamente
al centro della scena.
Un rapporto quello tra le
due che, fin dall’inizio, risulta quasi morboso. Un rapporto che cominciamo a
comprendere e inquadrare solo dopo le prime scene, nel momento in cui appaiono
anche gli altri personaggi, fondamentali per “tirare” entrambe da una parte e
dell’altra e per smorzare spesso i toni.
Uno degli interrogativi
più grandi del film è quello dell’essere madre. Come lo si può essere nel modo
giusto? C’è un modo giusto? Chi è una buona madre e come si comporta? Sono
tutte domande che il regista, attraverso i personaggi perfettamente cuciti addosso
alla Hathaway e alla Chastain, ci pone. Domande che non trovano una risposta
perché, senza anticipare niente, il risultato è che non ci sono vincitori, ma
solo vinti. Chi in maniera più evidente e chi meno, chi volontariamente e chi
senza la propria volontà, la certezza verso la quale ci indirizza il film è che
non c’è una risposta.
Così come non c’è una
risposta alla storia, a tinte hitchcockiane, che vede protagoniste Alice e
Celine e tutti i comprimari. Ciò che sembra perfetto e appare indistruttibile è
in realtà quanto di più fragile esista, al contrario coloro che nutrono dubbi e
interrogativi su sé stessi e gli altri sono, forse, alla fine dei conti, i più
forti.
Tra deliri di onnipotenza
e deliri di oppressione, “Mother’s instinct” ci mostra, seppur in maniera un
po’ più opaca di quanto avrebbe potuto fare, che l’istinto di una madre non
sbaglia mai, nel bene e nel male.
Il mondo perfetto che
Celine si era disegnata forse non era così perfetto così come la tanto agognata
libertà di Alice, continuamente imprigionata tra le mura domestiche, costretta
a guardare lo scorrere del tempo e della vita da dietro una finestra metafora delle
sbarre di una prigione, il cui prezzo era davvero troppo alto.
Veronica Ranocchi
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