Dopo la rubrica dedicata al cinema a mano armata tornata a vivere sulle nostre pagine grazie all'intervento di un'esperto come Fabrizio Luperto è la volta del cinema americano, omaggiato dai cinemaniaci con una sezione nuova di zecca che parte oggi con il film di Michael Cimino "Una calibro 20 per uno specialista",emblema di un cinema che sapeva unire intrattenimento e riflessione, spazi geografici e movimenti interiori, divi da copertina e performance attoriali, ma soprattutto un nuovo modo di fare cinema, capace di aggiornare modelli e sistema produttivo di un cinema americano che alla soglia degli anni 70 mostrava segni di crisi inequivocabile.
Questi motivi non sarebbero però sufficienti a giustificare la nostra attenzione se la voglia di raccontare non fosse sostenuta da una spinta emotiva. Per chi scrive infatti il cinema americano di quel periodo era una specie di frutto proibito, paradiso personale di genitori e fratelli maggiori, proiezione di miti e desideri di un mondo che si poteva guardare solo da lontano. Tornarne a parlare adesso è quindi una sorta di viaggio sentimentale alla ricerca del tempo perduto ed insieme un modo per capire meglio il cinema di oggi, per provare a vedere qual'è, se esiste, l'eredità che registi come Coppola, Scorsese, Al Ashby, De Palma, Penn, Altmann, Rafelson o attori come De Niro, Hoffmann, Hackman, Pacino, Cazale, Voight solo per fare qualche nome, ci hanno lasciato. E se Venezia si prepara a celebrare la versione rerstaurata de "I cancelli del cielo" (1980), flop commerciale di dimensioni colossali, che per alcuni segnò la fine della nuova Hollywood togliendo alla figura del regista autore la possibilità del final cut, ed a fare del nuovi film di De Palma e di Malik gli appuntamenti di punta del concorso ufficiale allora vuol dire che in qualche maniera una certa idea di fare cinema è sopravvissuta. Rivedere alcuni film di quel periodo potrebbe aiutarci a capire in che modo.
ps. la foto in bianco e nero è tratta dal set del film "Bonnie and Clyde" di Arthur Penn con Warren Beatty e Faye Dunaway che nel 1967 sancisce l'inizio della New Hollywood.
Questi motivi non sarebbero però sufficienti a giustificare la nostra attenzione se la voglia di raccontare non fosse sostenuta da una spinta emotiva. Per chi scrive infatti il cinema americano di quel periodo era una specie di frutto proibito, paradiso personale di genitori e fratelli maggiori, proiezione di miti e desideri di un mondo che si poteva guardare solo da lontano. Tornarne a parlare adesso è quindi una sorta di viaggio sentimentale alla ricerca del tempo perduto ed insieme un modo per capire meglio il cinema di oggi, per provare a vedere qual'è, se esiste, l'eredità che registi come Coppola, Scorsese, Al Ashby, De Palma, Penn, Altmann, Rafelson o attori come De Niro, Hoffmann, Hackman, Pacino, Cazale, Voight solo per fare qualche nome, ci hanno lasciato. E se Venezia si prepara a celebrare la versione rerstaurata de "I cancelli del cielo" (1980), flop commerciale di dimensioni colossali, che per alcuni segnò la fine della nuova Hollywood togliendo alla figura del regista autore la possibilità del final cut, ed a fare del nuovi film di De Palma e di Malik gli appuntamenti di punta del concorso ufficiale allora vuol dire che in qualche maniera una certa idea di fare cinema è sopravvissuta. Rivedere alcuni film di quel periodo potrebbe aiutarci a capire in che modo.
ps. la foto in bianco e nero è tratta dal set del film "Bonnie and Clyde" di Arthur Penn con Warren Beatty e Faye Dunaway che nel 1967 sancisce l'inizio della New Hollywood.
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