lunedì, agosto 20, 2012
Ritratti: Jennifer Connelly (3)
Le cose prendono un altro verso quando nel volgere di un paio di anni la Connelly gira "Scomodi omicidi/"Mulholland Falls", 1995, di Lee Tamahori; "Dark city/"id., 1997 di Alex Proyas e "Innocenza infranta"/"Inventing the Abbotts", 1997, dell'irlandese Pat O'Connor .
Ad eccezione del tentativo un po' leccato e dal passo soapoperistico del film di O'Connor in cui la Connelly c' e' e non c' e', si vede e non si vede, e quando si vede e' quasi sempre nuda, le prove fornite nei lavori di Tamahori e
di Proyas dicono almeno un paio di cose interessanti: la prima e' che la Connelly e' ormai a proprio agio nei panni di donne non contemporanee - donne del ricordo, cioè, della recriminazione -.
In "Scomodi omicidi", attorniata da un cast eccezionale che va da Nock Nolte a John Malkovich, da Melanie Griffith a Chazz Palminteri, via via sino a Michael Madsen, a Chris Penn, addirittura a Andrew McCarthy e Rob Lowe, si trova al
centro, al tempo stesso come dark lady e vittima, di una oscura trama governativa e di tresche amorose incrociate intessute più di rabbia e disperazione, di cinismo e sopraffazione che di reale trasporto umano, in cui la puntuale ricostruzione d'epoca non e' mero arredamento ma arricchisce di una sfumatura di rimpianto la consapevolezza definitiva dell'impossibilita di recuperare una qualsiasi forma di redenzione.
La Connelly, puttana e agnello sacrificale, pone con una certa leggerezza di
fondo il suo appeal retro' al servizio di una storia fondamentalmente cupa,
agita e subita da uomini stanchi e rancorosi, uscendo di scena quasi subito e
da questo momento rappresentando - di fatto - l'unico vero motivo di rimpianto
per chi resta.
Di contro - ed e' il secondo aspetto - nel curioso e poco apprezzato film di
Proyas, l'attrice porta alle estreme conseguenze questo stilema della donna-di-
un-altro-tempo (e' qui una "crooner" di locali notturni in una città
all'apparenza anni '40 non solo dickianamente ma proprio "fisicamente" sospesa
nello spazio e nel tempo, entro una notte perenne, specchio dell'oblio indotto
da una razza aliena manipolatrice della memoria umana), innervandolo pero' di
toni intimisti e malinconici, dove la bellezza del viso e della voce (non
dimentichiamo che la Connolly, in originale, ha un timbro piuttosto morbido,
profondo, in ogni caso estraneo, per capirsi, al tipico "squittio"
dell'intercalare americano al femminile) sembrano assumere i connotati al
contempo di una forma di resistenza alla prevaricazione delle coscienze, di uno
squarcio di luce inatteso, di una specie di estrema consolazione.
di TheFisherKing
Post archiviato nelle categorie:
Jennifer Connelly,
ritratti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Scomodi omicidi così come Dark City sono stati due film che mi sono piaciuti, entrambi sottostimati, entrambi immersi in una dimensione malinconicà e retrò..nel primo la Connelly concede molta parte del corpo perchè era necessario che la carne, voluttuosa e morbida ma sopratutto concreta riportasse in vita un personaggio, quella della Connelly, che altrimenti rischiava di diventare un idea(le)...
Già... Il corpo di Jennifer... Al di la' dei gusti, potremmo parla re della disponibilità a mostrarlo. La stessa Connelly, a suo tempo, argomento' a riguardo come di una necessita' su cui si interrogo' a lungo.
Posta un commento