Come detto, il 1971 fu anche l'anno de "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio e' tuo"/"Dirty Harry" (coproduzione Malpaso). Siegel, dopo il fresco buco
nell'acqua de "La notte brava del soldato Jonathan", mette in piedi un'operazione che in un colpo solo riesce nell'impresa di coinvolgere ancora
Eastwood, far saltare il banco del box-office e scatenare una grandinata di polemiche che, tra l'altro, genera nel tempo una corposa letteratura a base
di interventi, non solo critici, che oscillano tra l'entusiasmo (non molto, in verità), la vera e propria ripulsa e la polemica veemente. Liberamente
ispirato ad autentici fatti di cronaca - una serie di efferati crimini perpetrati da un misterioso soggetto, di fatto restato impunito, nella San Francisco degli
anni '70 - poi ripresi e approfonditi in "Zodiac" di D. Fincher (2007), il film vede al centro della vicenda l'ispettore del titolo interpretato da Eastwood, per
tutti, sbirri e mascalzoni, "Harry la carogna" ("dirty Harry", appunto), tipo
laconico e brutale, poliziotto integerrimo, allergico alle mezze misure e
alle lentezze e storture burocratiche. All'apparire sulla scena di un assassino
disturbato che si fa chiamare Scorpio e che oltre a mettere in atto i suoi
propositi omicidi ricatta le istituzioni con intimidazioni deliranti, sebbene
restie, le autorità affidano/scaricano il caso a/su Calla(g)han che lo
condurrà a termine a modo suo. Forse la prima cosa da chiedersi e' proprio chi e'
Harry "la carogna". Un eroe frainteso ? L'ennesimo funzionario dello Stato
ipocritamente delegato a tutelare i diritti/pretese della proverbiale
"maggioranza silenziosa" ? Il prodotto di una società malata, solo per caso
dalla parte "giusta" della barricata ? Un mastino ben addestrato
sciolto/sfuggito al guinzaglio del Sistema ? Un'imprevedibile aberrazione ? A
giudicare dai commenti liquidatori e irridenti di tanta parte della critica
non solo cinematografica americana, europea ma pure italiana, ed escludendo la
possibilità di una visione superficiale o distratta dell'opera, ciò che
colpisce e' che, alla fin fine, da un lato del tavolo resta la componente
pregiudiziale, dall'altro, quella ideologica. E basta. Calla(g)han e' infatti
apostrofato secondo un nutrito ventaglio di epiteti quasi sempre pero' sul
crinale denigratorio che ben poco lascia all'analisi, meno che meno
all'immaginazione: "reazionario", "retrivo", "criptofascista", "fascista",
"nichilista" e via così... In realtà - sempre retrospettivamente parlando,
s'intende, riconoscendo cioè comunque un grano di buona fede alle affermazioni
fatte e scritte "a caldo"- di primo acchito, guardando Calla(g)han, a dire
guardando come e' vestito, come si muove, come interagisce con chi gli sta di
fronte e in generale col mondo, il primo pensiero che sale alla mente e' di
trovarsi al cospetto di una versione invecchiata ("male", si potrebbe dire),
di certo più stanca e disillusa del Coogan de "L'uomo dalla cravatta di cuoio".
Quanto Coogan rivestiva la sua baldanza, la sua vigoria fisica, la sua
"fierezza" di provinciale estraneo alle pastoie e alle complicazioni anche
psicologiche della metropoli per eccellenza, New York, di un atteggiamento
risoluto ma permeato di una certa spontanea sfrontatezza, quindi di una sorta
di ingenuità, di naturalezza avvolta nell'impertinenza e nella faccia tosta,
Calla(g)han e' un uomo del tutto chiuso in se stesso, nel senso di rassegnato
a questa chiusura a cui, unica leva di contrasto, oppone l'adesione totale,
"pura" viene da dire, allo svolgimento intransigente del suo lavoro. Se
Coogan non si fa mancare avventure galanti, sfoggia palesi - per quanto misurate -
arie da don giovanni, Calla(g)han, non solo non ha una donna (l'unica, la
moglie, che non a caso sta fuori dal film, gliel'ha strappata il destino nei
panni di un rapinatore che la manda fuori strada), non ha una famiglia, non ha
amici, non ha effetti di alcun genere. Di più: non ha letteralmente un posto dove andare
che non sia l'itinerario giornaliero segnato dalle tracce, dagli indizi, che il
suo fiuto di poliziotto gli suggerisce di seguire. Dove Coogan, seppure con una
maldestra efficienza, "chiude il caso", Calla(g)han fallisce anche in questo:
intrappolato Scorpio, torturatolo allo scopo di farsi confessare il recesso
dove ha nascosto una ragazzina presa in ostaggio, non ottiene nulla. Anzi, il
suo gesto, si rivelerà doppiamente controproducente, allorché la ragazzina
verra' ritrovata cadavere e Scorpio, appellandosi ai maltrattamenti subiti,
otterrà di essere rimesso in libertà. Solo dopo che il killer si sarà
impossessato di uno scuolabus, Calla(g)han, ormai osteggiato da tutti,
"finirà"il suo lavoro. Ma a quel punto non resta che buttare via il distintivo e
sparire. In altre parole, si fa forte il sospetto che Siegel, tutto sommato,
abbia ancora proposto una variazione al classico personaggio misterioso,
solitario, senza apparente passato, del western (molto si e' parlato delle
attinenze col "Cavaliere della valle solitaria" di Stevens): un quasi
asessuato strano tipo di eroe votato/condannato all'insindacabilità della propria
missione; al supporto magari sofferto ma netto al Sistema e alle leggi che
quello si e' dato; al sacrificio per il mantenimento di un "ordine", vago,
generico, forse sbagliato, visto pero' - a torto o a ragione - come unico
baluardo alle forze del Caos. Elemento a supporto di queste tesi e' la
scansione sotterranea del film secondo la logica di un altro archetipo
western:la caccia, meglio ancora se impostata sul parametro uno-contro-uno. Calla(g)
han insegue Scorpio che di lui si fa beffa e fugge per essere ancora braccato
fino alla resa dei conti finale - consolatoria magari per chi guarda - ma
rivelatrice per Calla(g)han della sostanziale inutilità non della specifica
azione, quanto del suo ruolo all'interno del meccanismo di quella società che
ha deciso - seppur da par suo - di servire. Più in generale, l'interesse, se
non un autentico grumo di fascinazione per un personaggio come quello di Calla
(g)han, può scaturire oltreché dalla constatazione della sua totale, siderale
solitudine di individuo perso dentro un mondo imperscrutabile e sordo -
aspetto che, al di la' di ogni posizione, dovrebbe far venire il sudore freddo al
famoso "spettatore-medio-dalla-sensibilità-media" -, che lo rende magari non
nell'acqua de "La notte brava del soldato Jonathan", mette in piedi un'operazione che in un colpo solo riesce nell'impresa di coinvolgere ancora
Eastwood, far saltare il banco del box-office e scatenare una grandinata di polemiche che, tra l'altro, genera nel tempo una corposa letteratura a base
di interventi, non solo critici, che oscillano tra l'entusiasmo (non molto, in verità), la vera e propria ripulsa e la polemica veemente. Liberamente
ispirato ad autentici fatti di cronaca - una serie di efferati crimini perpetrati da un misterioso soggetto, di fatto restato impunito, nella San Francisco degli
anni '70 - poi ripresi e approfonditi in "Zodiac" di D. Fincher (2007), il film vede al centro della vicenda l'ispettore del titolo interpretato da Eastwood, per
tutti, sbirri e mascalzoni, "Harry la carogna" ("dirty Harry", appunto), tipo
laconico e brutale, poliziotto integerrimo, allergico alle mezze misure e
alle lentezze e storture burocratiche. All'apparire sulla scena di un assassino
disturbato che si fa chiamare Scorpio e che oltre a mettere in atto i suoi
propositi omicidi ricatta le istituzioni con intimidazioni deliranti, sebbene
restie, le autorità affidano/scaricano il caso a/su Calla(g)han che lo
condurrà a termine a modo suo. Forse la prima cosa da chiedersi e' proprio chi e'
Harry "la carogna". Un eroe frainteso ? L'ennesimo funzionario dello Stato
ipocritamente delegato a tutelare i diritti/pretese della proverbiale
"maggioranza silenziosa" ? Il prodotto di una società malata, solo per caso
dalla parte "giusta" della barricata ? Un mastino ben addestrato
sciolto/sfuggito al guinzaglio del Sistema ? Un'imprevedibile aberrazione ? A
giudicare dai commenti liquidatori e irridenti di tanta parte della critica
non solo cinematografica americana, europea ma pure italiana, ed escludendo la
possibilità di una visione superficiale o distratta dell'opera, ciò che
colpisce e' che, alla fin fine, da un lato del tavolo resta la componente
pregiudiziale, dall'altro, quella ideologica. E basta. Calla(g)han e' infatti
apostrofato secondo un nutrito ventaglio di epiteti quasi sempre pero' sul
crinale denigratorio che ben poco lascia all'analisi, meno che meno
all'immaginazione: "reazionario", "retrivo", "criptofascista", "fascista",
"nichilista" e via così... In realtà - sempre retrospettivamente parlando,
s'intende, riconoscendo cioè comunque un grano di buona fede alle affermazioni
fatte e scritte "a caldo"- di primo acchito, guardando Calla(g)han, a dire
guardando come e' vestito, come si muove, come interagisce con chi gli sta di
fronte e in generale col mondo, il primo pensiero che sale alla mente e' di
trovarsi al cospetto di una versione invecchiata ("male", si potrebbe dire),
di certo più stanca e disillusa del Coogan de "L'uomo dalla cravatta di cuoio".
Quanto Coogan rivestiva la sua baldanza, la sua vigoria fisica, la sua
"fierezza" di provinciale estraneo alle pastoie e alle complicazioni anche
psicologiche della metropoli per eccellenza, New York, di un atteggiamento
risoluto ma permeato di una certa spontanea sfrontatezza, quindi di una sorta
di ingenuità, di naturalezza avvolta nell'impertinenza e nella faccia tosta,
Calla(g)han e' un uomo del tutto chiuso in se stesso, nel senso di rassegnato
a questa chiusura a cui, unica leva di contrasto, oppone l'adesione totale,
"pura" viene da dire, allo svolgimento intransigente del suo lavoro. Se
Coogan non si fa mancare avventure galanti, sfoggia palesi - per quanto misurate -
arie da don giovanni, Calla(g)han, non solo non ha una donna (l'unica, la
moglie, che non a caso sta fuori dal film, gliel'ha strappata il destino nei
panni di un rapinatore che la manda fuori strada), non ha una famiglia, non ha
amici, non ha effetti di alcun genere. Di più: non ha letteralmente un posto dove andare
che non sia l'itinerario giornaliero segnato dalle tracce, dagli indizi, che il
suo fiuto di poliziotto gli suggerisce di seguire. Dove Coogan, seppure con una
maldestra efficienza, "chiude il caso", Calla(g)han fallisce anche in questo:
intrappolato Scorpio, torturatolo allo scopo di farsi confessare il recesso
dove ha nascosto una ragazzina presa in ostaggio, non ottiene nulla. Anzi, il
suo gesto, si rivelerà doppiamente controproducente, allorché la ragazzina
verra' ritrovata cadavere e Scorpio, appellandosi ai maltrattamenti subiti,
otterrà di essere rimesso in libertà. Solo dopo che il killer si sarà
impossessato di uno scuolabus, Calla(g)han, ormai osteggiato da tutti,
"finirà"il suo lavoro. Ma a quel punto non resta che buttare via il distintivo e
sparire. In altre parole, si fa forte il sospetto che Siegel, tutto sommato,
abbia ancora proposto una variazione al classico personaggio misterioso,
solitario, senza apparente passato, del western (molto si e' parlato delle
attinenze col "Cavaliere della valle solitaria" di Stevens): un quasi
asessuato strano tipo di eroe votato/condannato all'insindacabilità della propria
missione; al supporto magari sofferto ma netto al Sistema e alle leggi che
quello si e' dato; al sacrificio per il mantenimento di un "ordine", vago,
generico, forse sbagliato, visto pero' - a torto o a ragione - come unico
baluardo alle forze del Caos. Elemento a supporto di queste tesi e' la
scansione sotterranea del film secondo la logica di un altro archetipo
western:la caccia, meglio ancora se impostata sul parametro uno-contro-uno. Calla(g)
han insegue Scorpio che di lui si fa beffa e fugge per essere ancora braccato
fino alla resa dei conti finale - consolatoria magari per chi guarda - ma
rivelatrice per Calla(g)han della sostanziale inutilità non della specifica
azione, quanto del suo ruolo all'interno del meccanismo di quella società che
ha deciso - seppur da par suo - di servire. Più in generale, l'interesse, se
non un autentico grumo di fascinazione per un personaggio come quello di Calla
(g)han, può scaturire oltreché dalla constatazione della sua totale, siderale
solitudine di individuo perso dentro un mondo imperscrutabile e sordo -
aspetto che, al di la' di ogni posizione, dovrebbe far venire il sudore freddo al
famoso "spettatore-medio-dalla-sensibilità-media" -, che lo rende magari non
emendabile dal punto di vista morale, di certo gli preclude la possibilità di
essere portato ad esempio ma altrettanto di sicuro gli conferisce una sua
statura tragica, dall'enorme contraddizione che separa le sue intenzioni dal
passaggio ai fatti: potente e' la sensazione, appunto - e di questo va dato
merito alla padronanza e alla chiarezza di intenti di Siegel - che quanto più
Calla(g)han spinga sul crinale della forza, irrigidisca e radicalizzi il suo
comportamento, tanto meno ottiene in termini pragmatici di "riuscita", di
"missione compiuta": come detto, la ragazza presa in ostaggio viene ritrovata
morta; Scorpio viene presto rilasciato; in seguito escogita pure un finto
pestaggio per far ricadere la responsabilità e il discredito sulla Polizia.
Addirittura, non e' esagerato ritenere che, in fondo, la risoluzione della
storia e' gestita e "voluta" da Scorpio stesso, dalla sua scarsa accortezza,
dettata - perché no - da un eccesso di volontà di potenza, quanto non lo sia
invece dalla strategia investigativa di Calla(g)han. A tale riguardo, si
salda l'annoso e con ogni probabilità irresolubile argomento circa l'"estetica
della violenza". Non dimenticando che in quello stesso anno, 1971, a distanza di
pochi mesi, sarebbero piombati sugli schermi - e' il caso di dirlo - "Il
braccio violento della legge" di Friedkin e "Cane di paglia" di Pechinpah,
cercando di rimanere ai fatti, forse e' più corretto parlare di "Dirty Harry"
più come un film immerso in un clima psicologico e umano violento che di
un'opera animata dall'intenzione di fare l'apologia della violenza. Siegel,
regista abituato a fronteggiare un aspetto così spinoso, mai ha negato la
durezza dell'agire del "suo" poliziotto (anche J. Milius, collaboratore alla
sceneggiatura, ha confermato l'idea di tratteggiare con toni marcati,
"tough", l'atteggiamento di Calla(g)han). Sempre pero' ha sottolineato, a parte
l'importanza della resa spettacolare della trama, la sua capacita di
coinvolgere lo spettatore, l'assenza di qualunque alibi o giustificazione di
carattere etico, sociologico, tantomeno politico, alle peripezie del
protagonista. Stando ai fatti, allora, c'è da dire che in "Dirty Harry" le
scene violente esplicite sono in verità limitate, brevi, girate sempre in
maniera rapida, neutra, senza concessione al compiacimento o al sadismo.
Anzi, più di una volta, si percepisce che il ricorso alla violenza di Calla(g)han -
e quasi lo stesso vale, ad istanze rovesciate, per Scorpio, chiaro emblema
della follia e del Male - sia la materializzazione della sua impotenza reale e
metaforica nei confronti di un orrore quotidiano oramai padrone della scena,
che di violenza si nutre e che per di più su di lui - simbolo della Legge e
dell'Ordine - la ritorce (anche se in termini di dileggio, di disistima, di
disprezzo), a sancire la totale quanto beffarda supremazia del Caos e, per
contrasto, il carattere illusorio se non menzognero di qualunque ipotesi di
"Armonia". Non per nulla, nella famosa-famigerata scena della "tortura"
dentro lo stadio, e' un'unica esemplare ripresa dall'alto che allontanandosi
lentamente dai due contendenti, finisce con l'avvolgerli nella pasta informe
di una stessa tenebra che promette di diventare per loro una nera eternità, a
sottolineare una perversa e scomoda affinità tra "cacciatore" e "preda", ben
oltre i mezzi messi in campo per annullarsi vicendevolmente. Stilisticamente
complesso, montato con meticolosità, fotografato ancora da Surtees e musicato
ancora da Schifrin, "Dirty Harry" e' un film oscuro e ambiguo (si apre con
un'inquadratura dedicata ai poliziotti morti in servizio), eppure
magnificamente teso, di gran ritmo. Univoco e persino sbrigativo in alcune
soluzioni ma raffinatissimo in altre: ad esempio, le fluide e geometriche
sequenze aeree sopra l'area urbana di San Francisco, più vicine al
documentario sperimentale che al noir classico; o l'alternanza imprevista e spiazzante di
primi piani del killer con svelte immagini di Calla(g)han che lo incalza.
Altro valore aggiunto, le interpretazioni degli attori: sicura e convincentenella
sua programmatica (quanto apparente) imperturbabilità, quella di Eastwood;
sorprendente quella di Andy Robinson (attore di formazione teatrale) nei
panni scomodi di Scorpio, chiamato spesso da Siegel ad improvvisare per conferire
più ampie sfumature alla follia forsennata rotta da improvvisi squarci di
contorta lucidità del suo personaggio.
essere portato ad esempio ma altrettanto di sicuro gli conferisce una sua
statura tragica, dall'enorme contraddizione che separa le sue intenzioni dal
passaggio ai fatti: potente e' la sensazione, appunto - e di questo va dato
merito alla padronanza e alla chiarezza di intenti di Siegel - che quanto più
Calla(g)han spinga sul crinale della forza, irrigidisca e radicalizzi il suo
comportamento, tanto meno ottiene in termini pragmatici di "riuscita", di
"missione compiuta": come detto, la ragazza presa in ostaggio viene ritrovata
morta; Scorpio viene presto rilasciato; in seguito escogita pure un finto
pestaggio per far ricadere la responsabilità e il discredito sulla Polizia.
Addirittura, non e' esagerato ritenere che, in fondo, la risoluzione della
storia e' gestita e "voluta" da Scorpio stesso, dalla sua scarsa accortezza,
dettata - perché no - da un eccesso di volontà di potenza, quanto non lo sia
invece dalla strategia investigativa di Calla(g)han. A tale riguardo, si
salda l'annoso e con ogni probabilità irresolubile argomento circa l'"estetica
della violenza". Non dimenticando che in quello stesso anno, 1971, a distanza di
pochi mesi, sarebbero piombati sugli schermi - e' il caso di dirlo - "Il
braccio violento della legge" di Friedkin e "Cane di paglia" di Pechinpah,
cercando di rimanere ai fatti, forse e' più corretto parlare di "Dirty Harry"
più come un film immerso in un clima psicologico e umano violento che di
un'opera animata dall'intenzione di fare l'apologia della violenza. Siegel,
regista abituato a fronteggiare un aspetto così spinoso, mai ha negato la
durezza dell'agire del "suo" poliziotto (anche J. Milius, collaboratore alla
sceneggiatura, ha confermato l'idea di tratteggiare con toni marcati,
"tough", l'atteggiamento di Calla(g)han). Sempre pero' ha sottolineato, a parte
l'importanza della resa spettacolare della trama, la sua capacita di
coinvolgere lo spettatore, l'assenza di qualunque alibi o giustificazione di
carattere etico, sociologico, tantomeno politico, alle peripezie del
protagonista. Stando ai fatti, allora, c'è da dire che in "Dirty Harry" le
scene violente esplicite sono in verità limitate, brevi, girate sempre in
maniera rapida, neutra, senza concessione al compiacimento o al sadismo.
Anzi, più di una volta, si percepisce che il ricorso alla violenza di Calla(g)han -
e quasi lo stesso vale, ad istanze rovesciate, per Scorpio, chiaro emblema
della follia e del Male - sia la materializzazione della sua impotenza reale e
metaforica nei confronti di un orrore quotidiano oramai padrone della scena,
che di violenza si nutre e che per di più su di lui - simbolo della Legge e
dell'Ordine - la ritorce (anche se in termini di dileggio, di disistima, di
disprezzo), a sancire la totale quanto beffarda supremazia del Caos e, per
contrasto, il carattere illusorio se non menzognero di qualunque ipotesi di
"Armonia". Non per nulla, nella famosa-famigerata scena della "tortura"
dentro lo stadio, e' un'unica esemplare ripresa dall'alto che allontanandosi
lentamente dai due contendenti, finisce con l'avvolgerli nella pasta informe
di una stessa tenebra che promette di diventare per loro una nera eternità, a
sottolineare una perversa e scomoda affinità tra "cacciatore" e "preda", ben
oltre i mezzi messi in campo per annullarsi vicendevolmente. Stilisticamente
complesso, montato con meticolosità, fotografato ancora da Surtees e musicato
ancora da Schifrin, "Dirty Harry" e' un film oscuro e ambiguo (si apre con
un'inquadratura dedicata ai poliziotti morti in servizio), eppure
magnificamente teso, di gran ritmo. Univoco e persino sbrigativo in alcune
soluzioni ma raffinatissimo in altre: ad esempio, le fluide e geometriche
sequenze aeree sopra l'area urbana di San Francisco, più vicine al
documentario sperimentale che al noir classico; o l'alternanza imprevista e spiazzante di
primi piani del killer con svelte immagini di Calla(g)han che lo incalza.
Altro valore aggiunto, le interpretazioni degli attori: sicura e convincentenella
sua programmatica (quanto apparente) imperturbabilità, quella di Eastwood;
sorprendente quella di Andy Robinson (attore di formazione teatrale) nei
panni scomodi di Scorpio, chiamato spesso da Siegel ad improvvisare per conferire
più ampie sfumature alla follia forsennata rotta da improvvisi squarci di
contorta lucidità del suo personaggio.
di TheFisherKing
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