Lovelace
di Robert Epstein, Jeffery Friedman
con Amanda Seyfried, Peter Sarsgaard, Sharon Stone
Usa, 2013
genere, drammatico
durata, 93'
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di Robert Epstein, Jeffery Friedman
con Amanda Seyfried, Peter Sarsgaard, Sharon Stone
Usa, 2013
genere, drammatico
durata, 93'
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Se il cinema è l'atto del guardare ed il voyeurismo una sua
connotazione, va da se che la settima arte non possa fare a meno di sbirciare
all'interno di quel santuario di massime pruderie che costituisce l'universo
pornografico, ed in particolare nel cosiddetto "altro cinema" che
proprio sul principio degli anni 70 cercò di farsi accettare promuovendosi nel
circuito ufficiale con un film come "Gola profonda"
"interpretato" da quella che sarebbe diventata il simbolo stesso del
nascente movimento: Linda Lovelace. Un passaggio, che il biopic di Robert Epstein e Jeffrey Friedman coglie nella
scarnificazione del dato anagrafico presente nel titolo, che semplifica alla
perfezione il passaggio dal personaggio in carne ossa rappresentato dalla
ragazzina sprovveduta ed ingenua, all'astrazione di un nome -Lovelace-
destinato a diventare il marchio del business legato ai porno movie.
A finire sullo schermo infatti è il pubblico ed il privato
di una donna bambina vittima di opposti nuclei famigliari: quello biologico
rappresentato da una madre anaffettiva e da un padre troppo debole, e quello
putativo, formato da un marito cinico e violento, e dalla crew di produttori, registi ed attori, in un modo o
nell’altro interessati a sfruttarne la popolarità tentando di convincerla a
girare nuovi film. Se la fine è nota, con Linda che riesce a sfuggire ai propri
carnefici ed a rifarsi una vita normale, con marito e figlio a carico, quello
che interessa ai registi è approfittare della reale esistenza del personaggio
per enfatizzare un percorso esistenziale paradigmatico e salvifico, in cui
adeguandosi alla morale puritana, il sesso figura come ago della bilancia per
distinguere tra il bene e il male. Sulla scia di film come “Boggie Night” e
“Wonderland” che, nelle rispettive
diversità esploravano uno scenario analogo, “Lovelace” è tradizionale nel mettere in scena la
biografia del suo personaggio, con una forma – tipicamente classica- che
preferisce rappresentare i fatti piuttosto che interpretarli in una dimensione
psicologica, o secondo un punto di vista inedito e personale. A riprova d ciò
basterebbe la scelta di abbracciare un arco narrativo cronologicamente esteso,
che invece di risalire al tutto isolando uno specifico episodio (come fece il film
di James Cox rispetto alla vita di John Holmes) preferisce snocciolarlo con una
serie di sequenze oggettive (piani americani ed assenza di riprese anomale) che
passando in rassegna i momenti salienti di una giovinezza rubata, ricostruisce
i fatti in maniera ordinata e pragmatica. Saturando lo spettatore con emozioni
preparate a dovere dall’immancabile spiegazione, ed evitando il beneficio del
dubbio attraverso un positivismo edulcorato e rassicurante, “Lovelace” non è
l’indagine su una cittadina al di sopra di ogni sospetto, bensì la cartolina di
un’epoca, in cui Linda ed suoi amici più che esseri umani vi risultano come un
fenomeno di costume. Interpretato a dovere da un cast ineccepibile -ottima la prova di Amanda Seyfried nella parte della
protagonista- il film suscita una curiosità non sempre ripagata.
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