domenica, giugno 08, 2014
(NOT SO) FAR EAST (I)
"Oh, oh-oh,
life can be cruel.
Life in Tokio"
- Japan -
- I -
Sbertucciare la televisione - oggi come oggi - e' un po' come schiacciare noci con la pressa e meravigliarsi, a operazione compiuta, che non e' rimasto granché da mettere sotto ai denti. A dire: tanta e' la divaricazione che alla fine si crea tra le leve (linguistiche/tecnologiche) disponibili - tra l'altro in perenne mutamento - e il campo di applicazione su cui quelle leve esercitano le proprie sollecitazioni (un 'medium' piuttosto in la' con l'età; assai ridimensionato nel suo ruolo d'interprete principe del "villaggio globale", quindi esposto pressoché senza riparo alle antinomie inerenti il suo uso proverbialmente passivo, oramai, si potrebbe dire, al limite della deprivazione sensoriale).
Tenuto conto (e da parte) il giardino (quasi tutto) fiorito delle Serie-ad- episodi che - fatti salvi i gusti di ognuno - spesso e volentieri hanno rivaleggiato (e tuttora rivaleggiano) col Cinema, se non persino anticipano talune idee, soluzìoni formali e punti di fuga che fino "all'altro ieri" erano ad esclusivo appannaggio della di lui creatività, e un certo numero di programmi molto caratterizzati, in specie quelli di stampo documentaristico, musicale, genericamente "artistico" e storico, la TV comincia, e pare davvero una tendenza inarrestabile, a patire sul serio gli effetti sul lungo periodo di ciò che in origine era, per il modo stesso in cui predisponeva la fruizione, uno dei suoi punti di forza, ovverosia la fidelizzazione fondata sull'uguale o sul pressoché tale: intrattenimento e informazìone, per lo più, a passarsi il testimone e a darsi senza posa di gomito, in un sempre più inebetito andirivieni via via ridotto a sinistro "autismo comunicativo", capace di crescere su se stesso e ripetersi senza la minima variazione di forma, di ritmo, di contenuto. Ora, con ogni evidenza, tutto ciò non e' più possibile. La frantumazione dei palinsesti, infatti, resasi necessaria per venire incontro alle esigenze di un pubblico allo stesso tempo insoddisfatto - quindi ondivago - eppero' anche, di media, più curioso e informato, ovvero sempre più incline a ritagliarsi intervalli specifici di "visione personalizzata", ha man mano eroso quella prassi cristallizzata dai decenni (e da uno spaventoso ristagno culturale, ancora ben lungi dall'aver trovato sbocchi certi e risolutivi) centrata su una programmazione "generalista" ad oltranza, la quale, oltre a risultare nell'attualità anacronistica, non e' più riuscita a non stridere coi numeri - grandi e piccoli, nonché sistematicamente rilevati - manco a dirlo impietosi al momento di evidenziare le manchevolezze di una qualunque strategia controproducente.
Proprio in tale senso - ed anche in relazione alle direttrici di fondo fino qui in breve riepilogate - spicca di una sua meritoria "necessita'" lo slancio/impegno profuso da una delle tante costole del cosiddetto Servizio Pubblico - qui RAI 4 - nel continuare a proporre all'interno di un ciclo cinematografico (l'altrove già ricordato "Missione Estremo Oriente"), tutta una serie di opere, quasi sempre recenti e recentissime, appartenenti a varie filmografie - Hong Kong, Corea (Nord/Sud), Cina, Giappone, Thailandia, et. - la cui diffusione dalle nostre parti (non considerando la vetrina speciale di grandi appuntamenti internazionali o quell''unicum' che e' il "Far East Festival" di Udine) può dirsi episodica se non nulla.
Fanno sfoggio di se', così - a mo' di dittico, nella prima e seconda serata del lunedì e con occasionali repliche notturne durante la settimana - film diversi per argomento, punto di vista, scelte espressive e durata. Con una certa prevalenza per il "noir metropolitano", il thriller e l'horror (ognuno di essi caratterizzato da una messa in scena della violenza tanto esplicita quanto impietosa), non e' altresì infrequente imbattersi in racconti in cui, ad esempio, le arti marziali irrompono in intrecci polizieschi o integrano "wuxia" sui generis. Allo stesso modo, vengono proposti ritratti di personaggi avvolti da una soffice cornice melo' - tra ritrosia e abbandono, seduzione e disincanto - o proiettati in contesti drammatici sovente contrappuntati da quella singolare sfumatura di grottesco - strana alchimia di impassibilità e piega caricaturale - che più di un naso fa ancora storcere in Occidente. Così come non e' inusuale passare dalla rivisitazione di una tradizione (mettiamo quella dell'universo del samurai) alla vera e propria contaminazione di generi e periodi storici: abbiamo in tal modo commedia, azione, western, avventura, guerra, in un precipitato che può contenere passato remoto e contemporaneità; descrivere lo "ieri" ma (pre)sentire la malia del "domani". Parimenti e' viva la voglia di misurarsi con gli stilemi e le logiche del grande Cinema popolare mondiale (consistenti investimenti, attori famosi, trame coinvolgenti) al punto che molte volte strizzate d'occhio, citazioni ed estremizzazioni si rincorrono e si sovrappongono nel mare magno degli influssi e dei possibili cortocircuiti, tra il passo in scia con l'adrenalinico incedere delle macchine-da-spettacolo hollywoodiane, i rimandi alle atmosfere cupe e 'deracine'' del "polar" d'Oltralpe, l'eco re-interpretativo, spavaldo e dissacratorio, dello spaghetti- western et. Ogni aspetto - dall'amore all'odio, dalla comprensione all'indifferenza, dall'amicizia all'ostilità, dalla cupidigia allo sperpero (in genere di se') - secondo un procedere che, in particolar modo nel cuore delle storie che si consumano nel maelstrom di quella condizione che chiamiamo "modernità" o "post-modernità", tra le ambiguità più inquietanti che brulicano nel cono d'ombra dell'esuberanza tecnologica, al di sotto della sua razionalità levigatissima, invariabilmente "amichevole", sempre trionfante, non smette mai di scontrarsi con le trasformazioni esteriori - del paesaggio naturale, come delle sterminate e impersonali aree metropolitane e degli stessi luoghi/non luoghi (appartamenti, uffici, locali) deputati all'interazione dell'animale (presunto) 'sapiens' - e interiori - della mentalità, delle abitudini, dei sentimenti, delle nuove/vecchie ossessioni e derive psicologiche (quasi solo sanguinarie) indotte dal denaro, dalla mancanza di esso/dal suo pensiero dominante; dalla presenza sempre più invadente degli oggetti di consumo e, non secondariamente, delle loro rappresentazioni simboliche - che l'attrito inevitabile di quella "modernità" genera e plasma a contatto col vissuto quotidiano degli uomini.
- parte prima -
TFK
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