Rompicapo a New York
di Cedric Klapisch
con Romain Duris, Audrey Tatou, Cecile De France
Francia, Belgio, Usa, 2014
genere, commedia
durata,
Il tempo e' una categoria con cui il cinema è obbligato a ragionare ogniqualvolta decida di raccontarsi con una parvenza di realtà. Ma la scansione temporale agisce anche fuori dal set, lavorando sulle idee ma soprattutto sui corpi degli attori che per questo sono costretti a alzare il gradiente di finzione per compensare il segno delle sue conseguenze. Di questa duplice spinta deve aver tenuto conto Cedric Klapisch quando a deciso di portare sullo schermo "Rompicapo a New York", terzo episodio della trilogia aperta dal fortunato "L'appartamento spagnolo", ritratto agrodolce di una generazione studentesca e cosmopolita cresciuta nell'era di quel programma Erasmus che, dalla fine degli ottanta, permise a centinaia di studenti di svolgere un periodo formativo al di fuori dei confini nazionali. Tra i motivi dell'inaspettato consenso ci fu sicuramente l'appeal di un prodotto naturalmente internazionale per il fatto di raccontare un'esperienza condivisibile su larga scala. Dal punto di vista cinematografico invece risulto' rilevante la scelta di codificare il fenomeno all'interno di un contenitore classico come quello della commedia, e di averlo reso universale attraverso la scanzonata riconoscibilità di attori come, Romain Duris, Audrey Tatou, e Cecile De France che all'epoca potevano offrire un immaginario in sintonia con la freschezza dei personaggi, e che oggi ritornano a quei ruoli con un divismo che poco si addice all'anarchia dei caratteri da loro interpretati. Ad accendere la miccia è ancora una volta Xavier, ago della bilancia per carattere e buon senso di un gineceo che il nostro tiene a freno con amorevole pazienza. Così facendo lo ritroviamo nientemeno che a New York dove il nostro si è trasferito per stare vicino ai figli avuti dal matrimonio con Wendy che l'ha lasciato per un fidanzato americano. Impegnato a ottenere la carta verde, Xavier e' alle prese con la stesura di un libro ispirato alla sua vita, e nel contempo deve fare i conti con un ritorno di fiamma che rischia di mettere tutto in discussione.
Se lo spunto del film è poco più che un pretesto per ritornare al punto di partenza, con la corrispondenza tra la diversità proposta dai costumi del paese straniero a funzionare come stimolo per riscrivere le regole della propria esistenza, "Rompicapo a New York" rappresenta l'ultimo atto di una trasformazione, che ha visto Klapisch riciclare i temi portanti della sua poetica all'interno di una confezione da cinema d'esportazione, pronta a sacrificare il minimalismo narrativo e il gusto naïf dei primi film (Ognuno cerca il suo gatto) a favore di una correttezza politica e di un'empatia di facile presa. Così è infatti l'affinità e la condivisione che si respira nel corso del film, con questioni importanti come quella della fecondazione assistita, introdotta dalla decisione del protagonista di donare all'amica lesbica il seme che le consentirà di avere un figlio, soffocati dal lusso patinato e modaiolo degli interni radical chic e finto bohémien, così come dagli status symbol di una promozione sociale a cui nessuno, nonostante tutto, vuole rinunciare. Normalizzato da un paesaggio che sembra uscito dal catalogo di un'agenzia di viaggi e da una sceneggiatura che non riesce ad andare da nessuna parte, il vitalismo dei personaggi rimane imbrigliato nell'opportunismo della messinscena, lasciando la sensazione di un prodotto che ha da tempo oltrepassato la data di scadenza.
(pubblicato su ondacinema.it)
di Cedric Klapisch
con Romain Duris, Audrey Tatou, Cecile De France
Francia, Belgio, Usa, 2014
genere, commedia
durata,
Il tempo e' una categoria con cui il cinema è obbligato a ragionare ogniqualvolta decida di raccontarsi con una parvenza di realtà. Ma la scansione temporale agisce anche fuori dal set, lavorando sulle idee ma soprattutto sui corpi degli attori che per questo sono costretti a alzare il gradiente di finzione per compensare il segno delle sue conseguenze. Di questa duplice spinta deve aver tenuto conto Cedric Klapisch quando a deciso di portare sullo schermo "Rompicapo a New York", terzo episodio della trilogia aperta dal fortunato "L'appartamento spagnolo", ritratto agrodolce di una generazione studentesca e cosmopolita cresciuta nell'era di quel programma Erasmus che, dalla fine degli ottanta, permise a centinaia di studenti di svolgere un periodo formativo al di fuori dei confini nazionali. Tra i motivi dell'inaspettato consenso ci fu sicuramente l'appeal di un prodotto naturalmente internazionale per il fatto di raccontare un'esperienza condivisibile su larga scala. Dal punto di vista cinematografico invece risulto' rilevante la scelta di codificare il fenomeno all'interno di un contenitore classico come quello della commedia, e di averlo reso universale attraverso la scanzonata riconoscibilità di attori come, Romain Duris, Audrey Tatou, e Cecile De France che all'epoca potevano offrire un immaginario in sintonia con la freschezza dei personaggi, e che oggi ritornano a quei ruoli con un divismo che poco si addice all'anarchia dei caratteri da loro interpretati. Ad accendere la miccia è ancora una volta Xavier, ago della bilancia per carattere e buon senso di un gineceo che il nostro tiene a freno con amorevole pazienza. Così facendo lo ritroviamo nientemeno che a New York dove il nostro si è trasferito per stare vicino ai figli avuti dal matrimonio con Wendy che l'ha lasciato per un fidanzato americano. Impegnato a ottenere la carta verde, Xavier e' alle prese con la stesura di un libro ispirato alla sua vita, e nel contempo deve fare i conti con un ritorno di fiamma che rischia di mettere tutto in discussione.
Se lo spunto del film è poco più che un pretesto per ritornare al punto di partenza, con la corrispondenza tra la diversità proposta dai costumi del paese straniero a funzionare come stimolo per riscrivere le regole della propria esistenza, "Rompicapo a New York" rappresenta l'ultimo atto di una trasformazione, che ha visto Klapisch riciclare i temi portanti della sua poetica all'interno di una confezione da cinema d'esportazione, pronta a sacrificare il minimalismo narrativo e il gusto naïf dei primi film (Ognuno cerca il suo gatto) a favore di una correttezza politica e di un'empatia di facile presa. Così è infatti l'affinità e la condivisione che si respira nel corso del film, con questioni importanti come quella della fecondazione assistita, introdotta dalla decisione del protagonista di donare all'amica lesbica il seme che le consentirà di avere un figlio, soffocati dal lusso patinato e modaiolo degli interni radical chic e finto bohémien, così come dagli status symbol di una promozione sociale a cui nessuno, nonostante tutto, vuole rinunciare. Normalizzato da un paesaggio che sembra uscito dal catalogo di un'agenzia di viaggi e da una sceneggiatura che non riesce ad andare da nessuna parte, il vitalismo dei personaggi rimane imbrigliato nell'opportunismo della messinscena, lasciando la sensazione di un prodotto che ha da tempo oltrepassato la data di scadenza.
(pubblicato su ondacinema.it)
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