Per nessuna buona ragione
di Charlie Paul
con Ralph Streadman, Johnny Deep, Terry Gilliam
Regno Unito, Usa, 2012
genere, biografico, documentario
durata
di Charlie Paul
con Ralph Streadman, Johnny Deep, Terry Gilliam
Regno Unito, Usa, 2012
genere, biografico, documentario
durata
Come nasce un'opera d'arte, e qual è la scintilla che traduce
l'ispirazione in qualcosa di concreto e mirabile? All'annoso quesito il
cinema ha cercato più volte di rispondere: quasi sempre arrendendosi
all'impossibilità di superare la soglia che divide il visibile da ciò
che è innefabile, il più delle volte cercando di spiegarlo con una serie
di circollocuzioni, sceniche e verbali, che poco hanno scalfito il
mistero della creazione artistica. Questo per dire con quali e quante
aspettative si attendesse un film come "For No Good Reason",
lungometraggio di Charlie Paul incentrato sulla figura di Ralph
Steadman, illustratore inglese di massimo culto per aver illustrato, tra
le altre, alcune delle pagine più belle di "Fear and Loathing in Las
Vegas" libro di culto firmato da Hunter D. Thompson, scrittore americano
recentemente scomparso, con cui il nostro ebbe modo di instaurare un
collaborazione lavorativa densa di risultati. Ed è proprio
l'anniversario della scomparsa dell'inventore del Gonzo Journalism
e la voglia di ricordarlo da parte di Johnny Depp e Ralph Steadman, che
di Thompson furono amici e anche complici, a farci da guida in un
percorso di conoscenza e di scoperta che pur mantendo centrale l'oggetto
della sua indagine - i disegni di Steadman, i suoi principi ispiratori e
la tecniche di realizzazione - si apre ad analisi e considerazioni che
approfondiscono il rapporto tra due caratteri opposti e complementari
(Steadman a differenza di Thompson non fece mai uso di droghe) ma che
funzionano anche come ricognizione esistenziale di un'arte che nasce e
si mantiene in contatto dialettico con il proprio tempo.
Ed è proprio la contemporaneità, con la sua maschera di misfatti e di storture, a stimolare il talento dell'artista inglese, che si rivolge alla realtà deformandola con un espressionismo grottesco e caustico, capace di rivelarne il grande inganno. Dal viaggio negli Stati Uniti e in particolare al soggiorno a New York, percepita come spazio paradigmatico di qualsiasi attività umana, al confronto con l'universo psichedelico di Thompson, corrispettivo letterario delle sue fantasie visive, Steadman attraversa lo schermo portandoci per mano in una carrellata di ricordi, considerazioni personali e talento manuale che prende vita davanti ai nostri occhi, in un puzzle compositivo che utilizza generi e formati: ci riferiamo sopratutto ai filmini in super 8, che raccontano il sodalizio con Thompson attraverso momenti di informale amenità, e che, in prospettiva, ci fanno apprezzare l'abilità camaleontica di Deep, praticamente identico all'originale nella trasposizione cinematografica di Terry Gilliam, a riprese "dal vivo", in cui la fenomenologia delle immagini non impedisce di cogliere l'essenza di un irriducibilità che in Steadman si esprime sul piano intelletuale prima ancora che creativo.
Charlie Paul, il regista di "For No Good Reason", ci mette del suo, immergendo-letteralmente, grazie ai giochi di prestigio degli effetti specialii-il film tra tubetti di colore appena utilizzato e penneli ancora umidi, per raccontare Steadman come se anche lui, alla pari dei suoi personaggi, fosse il frutto di uno spleen estetico. Da qui la trovata di impostare la narrazione in modo tradizionale, con Deep estasiato ascoltatore e Stedman diligentemente allineato al ruolo di principale interlocutore, impegnato a rispondere a domande che rimangono fuori campo; e poi di sabotarne la linearità con le digressioni - fotografiche, documentarie, di finzione e amatoriali- di una fantasmagoria che raggiunge il suo apice nei tableau vivant formato dai lavori più famosi dell'arstista inglese che, come per magia, si animano di vita propria per finire quello che le parole hanno cominciato. Nel flusso ininterroto di immagini e pensieri si colgono le corrispondenze con i lavori di un pittore come Francis Bacon, a cui rimanda la natura mutante della fisiognomica tipica dei personaggi di Steadman ma anche all'influenza esercitata dall'artista inglese suile espressioni più alte del fumetto d'autore, che soprattutto negli schizzi di Bill Sienkiewich e in particolare di una Graphic Novel come "Stray Toaster", dimostrano l'importanza della sua eredità. Comprendiamo allora l'epifania di un genio che si esprime attraverso una libertà di segni, quelli prodotti da pennellate di colore che raggiungono il foglio con una gestualità astratta e casuale (alla maniera di Jackon Pollock), destinati a ricomporsi sotto l'impulso di interventi grafici e manuali (dal colore espanso attraverrso il soffio di una cannuccia alla pulitura di stratificazioni materiche) che solo alla fine disvelano il loro segreto. Se il risultato è talmente sbalorditivo da invogliare a un approfondimento dell'opera omnia dell'autore, "For No Good Reason" risuona nella capacità di tenere fede all'assunto di un titolo che, essendo anche la risposta all'interrogativo -"Perchè facciamo tutto questo Hunter?" - che a un certo punto Steadman rivolse a Thompson, esprime in pieno l'essenza di un'esperienza fuori dal comune e di un film che in qualche modo riesce a farcela sentire.
Ed è proprio la contemporaneità, con la sua maschera di misfatti e di storture, a stimolare il talento dell'artista inglese, che si rivolge alla realtà deformandola con un espressionismo grottesco e caustico, capace di rivelarne il grande inganno. Dal viaggio negli Stati Uniti e in particolare al soggiorno a New York, percepita come spazio paradigmatico di qualsiasi attività umana, al confronto con l'universo psichedelico di Thompson, corrispettivo letterario delle sue fantasie visive, Steadman attraversa lo schermo portandoci per mano in una carrellata di ricordi, considerazioni personali e talento manuale che prende vita davanti ai nostri occhi, in un puzzle compositivo che utilizza generi e formati: ci riferiamo sopratutto ai filmini in super 8, che raccontano il sodalizio con Thompson attraverso momenti di informale amenità, e che, in prospettiva, ci fanno apprezzare l'abilità camaleontica di Deep, praticamente identico all'originale nella trasposizione cinematografica di Terry Gilliam, a riprese "dal vivo", in cui la fenomenologia delle immagini non impedisce di cogliere l'essenza di un irriducibilità che in Steadman si esprime sul piano intelletuale prima ancora che creativo.
Charlie Paul, il regista di "For No Good Reason", ci mette del suo, immergendo-letteralmente, grazie ai giochi di prestigio degli effetti specialii-il film tra tubetti di colore appena utilizzato e penneli ancora umidi, per raccontare Steadman come se anche lui, alla pari dei suoi personaggi, fosse il frutto di uno spleen estetico. Da qui la trovata di impostare la narrazione in modo tradizionale, con Deep estasiato ascoltatore e Stedman diligentemente allineato al ruolo di principale interlocutore, impegnato a rispondere a domande che rimangono fuori campo; e poi di sabotarne la linearità con le digressioni - fotografiche, documentarie, di finzione e amatoriali- di una fantasmagoria che raggiunge il suo apice nei tableau vivant formato dai lavori più famosi dell'arstista inglese che, come per magia, si animano di vita propria per finire quello che le parole hanno cominciato. Nel flusso ininterroto di immagini e pensieri si colgono le corrispondenze con i lavori di un pittore come Francis Bacon, a cui rimanda la natura mutante della fisiognomica tipica dei personaggi di Steadman ma anche all'influenza esercitata dall'artista inglese suile espressioni più alte del fumetto d'autore, che soprattutto negli schizzi di Bill Sienkiewich e in particolare di una Graphic Novel come "Stray Toaster", dimostrano l'importanza della sua eredità. Comprendiamo allora l'epifania di un genio che si esprime attraverso una libertà di segni, quelli prodotti da pennellate di colore che raggiungono il foglio con una gestualità astratta e casuale (alla maniera di Jackon Pollock), destinati a ricomporsi sotto l'impulso di interventi grafici e manuali (dal colore espanso attraverrso il soffio di una cannuccia alla pulitura di stratificazioni materiche) che solo alla fine disvelano il loro segreto. Se il risultato è talmente sbalorditivo da invogliare a un approfondimento dell'opera omnia dell'autore, "For No Good Reason" risuona nella capacità di tenere fede all'assunto di un titolo che, essendo anche la risposta all'interrogativo -"Perchè facciamo tutto questo Hunter?" - che a un certo punto Steadman rivolse a Thompson, esprime in pieno l'essenza di un'esperienza fuori dal comune e di un film che in qualche modo riesce a farcela sentire.
(pubblicata su ondacinema.it)
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