Jason Bourne
di Paul Greengrass
con Matt Damon, Alicia Wikander, Tommy Lee Jones, Julia Stiles
USA, 2016
genere, azione, thriller, spionistico, drammatico
durata, 123'
Collocato in quella che a Locarno è la sede naturale delle produzioni più costose e popolari, "Jason Bourne" nuovo capitolo dedicato alle avventure dell'omonimo personaggio rischia di restare un eccezione non solo nell'ambito dell'intera rassegna ma anche all'interno del concorso della Piazza Grande che, considerati i titoli di quest'anno si propone alla pari delle altre sezioni con una selezione tutta da scoprire. Ad eccezione appunto del film di Paul Greengrass su cui prima della proiezione erano riposte le aspettative di quella parte di pubblico festivaliero che seppur sposato alla causa del cinema impegnato ogni tanto ha bisogno di riprendere fiato rilassandosi con visioni più scanzonate e meno militanti. A costoro, lo diciamo subito le due ore di azione serrata e ipercinetica offerta da "Jason Bourne" non può fare che bene perché pur non ambendo a scalare le classifiche di preferenza dello spettatore cinefilo il film di Greengrass, tornato a dirigere la serie dopo la parentesi di "Bourne Legacy", (capitolo che per gli amanti della saga rischia di diventare in termini apocrifi il corrispettivo dello 007 interpretato da George Lazeby ("Agente 007 -Al servizio segreto di sua maestà") aveva in cartellone una serie di nomi non del tutto estranei al cosiddetto cinema d'essai; a cominciare per l'appunto dallo stesso regista, consacrato dalla critica con un film di denuncia come "Bloody Sunday", e proseguendo con quello di Tommy Lee Jones prestato al ruolo di Robert Dowey, il capo della CIA impegnato a ostacolare il ritorno a casa di Jason Bourne e anche lui non certo estraneo alle platee festivaliere, per non dire dell'altra new entry, la sempre più lanciata Alicia Wikander fresca di Oscar grazie a un film - "The Danish Girl" - promosso da un festival - quello di Venezia- che fa dell'arte cinematografica il suo vessillo distintivo. Insomma questo per dire che seppur con le stimmati del prodotto commerciale "Jason Bourne" offriva degli spunti per stimolare una curiosità a largo raggio di età e di gusti.
Alla prova dei fatti, e quindi al termine di una visione a cui è consigliabile assistere avendo indossato le cinture di sicurezza tanto alto è il numero dei frame che compongono le numerose scene di inseguimento - a piedi e su due ruote - di questo nuovo capitolo, il lungometraggio di Greengrass non rinnega nulla della propria natura che anzi ricerca, restaurando vecchi equilibri (in primis quello tra spettacolarità e istanze narrative che in qualche modo era stato frustrato dallo strapotere del primo dei due fattori) e antiche ossessioni, come quella che spinge il protagonista a interrompere la propria latitanza nel tentativo di scoprire la verità sull'uccisione dell'amato padre, agente della CIA assassinato davanti agli occhi del figlio. Il tutto condito da un'attenzione agli avvenimenti della contemporaneità e all'importanza strategica dell'area balcanica (dov'è ambientato l'incipit) che, è giusto dirlo, non diventa mai motivo di riflessione, ma che è solamente uno dei modi del film di suscitare l'empatia del pubblico. A beneficiare di questi assestamenti è la struttura generale del racconto che, oscillando alternativamente tra due poli definiti in maniera speculare dal contrasto tra la natura raminga di Bourne, e quindi dalla sua tendenza a vivere in perenne movimento (a inseguire e a essere inseguito) e la staticità dei suoi avversari, partecipi degli avvenimenti attraverso i monitor della sala operativa, trae non poco giovamento dalla restaurazione di cui abbiamo detto. Un recupero, quello delle cose migliori del recente passato che coinvolge anche Greengrass, di cui parla a sufficienza la lunga scena iniziale (un piano sequenza depalmiano se non fosse per gli stacchi dei punti di vista connaturati allo sguardo del regista) girata ad Atene, dove i disordini causati dalla crisi economica trasformano l'incontro con la collega Nicky Parsons (la rediviva Julia stile) in una gimcana di detour, esplosioni e salvataggi da ultimo minuto che ricordano quelli ben più politici di "Bloody Sunday". La credibilità di Matt Damon come corpo del cinema d'azione fa il resto, consentendo alla saga di rilanciare il brand in vista di nuove avventure.
(pubblicato su ondacinema.it)
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