lunedì, novembre 21, 2016

PER MIO FIGLIO

Per mio figlio
di Frederic Mermoud
con Emmanuelle Devos, Nathalie Baye
Francia, Svizzera 2016
durata, 89'


Non è così frequente ma qualche volta capita che il significato di un film si raggrumi all’interno di una singola sequenza. A Frederic Mermoud ad esempio bastano pochi minuti, il tempo necessario per organizzare l’incontro tra le protagoniste di Per mio figlio e il gioco è fatto. Alle titubanze iniziali e alla forzata concatenazione degli eventi che permettono a Diane di individuare i (presunti) colpevoli della morte del figlio subentra quasi per magia una ripresa di senso dovuta in parte ai fotogrammi scelti dal regista per avviare la resa dei conti tra vittima e carnefici.

Il tenore delle scene in questione, ambientate all’interno della profumeria, è costruito all’insegna di una frivolezza che contrasta con la tensione drammatica percepibile nello sguardo di Diane: lo scambio di battute tra lei e Marlene (“Cerca qualcosa di particolare” chiede quest’ultima a Diane che a tono risponde “No, stavo guardando le creme per le occhiaie) seguito dal primo piano sul make up a cui Diane si sottopone per giustificare le sua presenza nel negozio, da una parte, rimandano alla “ricerca” che permette alla donna di individuare le sue prede e, ancora, al “mascheramento” che gli consente di avvicinarle senza destare alcun sospetto; dall’altra, alla duplicità narrativa che il film esprime quando, nella seconda parte, accanto alla componente thriller rappresentata dal modus operandi con cui Diane mette a punto la sua vendetta, acquista sempre maggior spazio il risvolto esistenziale della vicenda, quello che attraverso il rapporto instauratosi tra le due donne finisce per far entrare il racconto nell’intimità delle loro solitudini.

Rispetto al libro (Moka che è anche il titolo originale del lungometraggio) di Tatiana de Rosnay il regista sposta l’ambientazione da Parigi a quella porzione di provincia francese confinante con la Svizzera che nella sua vocazione frontaliera (sottolineata dagli sconfinamenti  necessari  a Diane per entrare in contatto con Marlene) contribuisce non poco a definire la dimensione di transitorietà e lo spaesamento che progressivamente, ma con una certa decisione, si impossessa delle vicende del film e dei suoi tormentati personaggi.
(pubblicata su TaxiDrivers.it)

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